Cultura

11 settembre 2001: quel giorno voi dove eravate? di Enrico Pirondini

Ogni volta che si avvicina l’anniversario dell’11 settembre – e domenica prossima è il decimo – vado con la memoria a quel terribile pomeriggio. Dove ero? Cosa facevo? E voi dove eravate?

Ricordo che avevo da poco terminato il pranzo con amici alle porte di Cremona quando trillò il telefonino. Il caporedattore mi informava che a New York, ora locale 8.45, un aereo della United Airlines aveva investito la Torre Nord del World Trade Center. Una disgrazia o un attentato? Ricordo che lasciai la compagnia in fretta e furia e rientrai al giornale. Un quarto d’ora dopo un secondo aereo entrava nella Torre Sud, mezz’ora più tardi il volo 77 della American Airlines si schiantava contro il Pentagono. Alle 10.03 (locali) il volo 93 della United precipitava al suolo nei pressi di Shanksville (Pennsylvania). Subito si pensò che quel quarto aereo avesse come obiettivo la Casa Bianca. Eravamo tutti attorno alla tv, con un occhio alle agenzie, increduli ed angosciati, oppressi spiritualmente da un dolore terribile. Quando alle 9.59 ,sempre locali,  abbiamo visto crollare la Torre Sud (la Nord sarebbe crollata mezz’ora dopo) in redazione si materializzò il convincimento dell’attacco agli Stati Uniti e le sue incalcolabili conseguenze. Ed ora che succederà laggiù, nel mondo, in Europa, in casa nostra?

Ricordo che dissi ai giornalisti:” Questo spaventoso attacco al cuore dell’America é peggio di Pearl Harbor” e mi misi al computer per scrivere l’editoriale per la prima pagina proprio mentre George W. Bush dichiarava lo stato di massima allerta. Non erano ancora trascorse cinque ore dal primo attacco.

Il raffronto con Pearl Harbor – la grande ossessione americana – mi venne immediato. Con un distinguo. Quel che stava accadendo a New York mi sembrava ancor più terrificante, più grave, più apocalittico. Pearl Harbor era una base americana nelle Hawaii, non il cuore di Manhattan.Là c’era un nemico preciso, il Giappone, che certo lanciò la grande offensiva (7 dicembre 1941) sfruttando un facile fattore sorpresa e la dedizione fanatica dell’ammiraglio Yamamoto. Qui il volto nemico era solo ipotetico anche se il nome di Osama Bin Laden, “il principe del terrore”, lo abbiamo fatto tutti subito. Era l’uomo che secondo un rapporto degli 007 russi voleva colpire Bush al summit di Genova, l’uomo che all’epoca contava su una rete lombardo-emiliana di 20mila seguaci. Con Pearl Harbor semmai c’era in comune la negligenza americana, una guardia tenuta spocchiosamente bassa ritenendo la propria casa invulnerabile, impenetrabile.

Oggi, dieci anni dopo quell’attacco,  sappiamo che l’Impero è caduto ed il mondo ha cambiato volto. Non sono più gli Stati Uniti a dettare legge ma nessuno, ancora, ha preso il loro posto.  Viviamo un’epoca difficile, di mezza anarchia, l’Onu è un fantasma “sempre più pallido” (Lucio Caracciolo), nel mondo sono in corso decine di conflitti. Siamo destinati a navigare a vista. Come suggerisce il magistrato anti-terrorismo Stefano Dambruoso (da oggi è in libreria il suo “Un istante prima”, Mondadori, scritto con Vincenzo R. Spagnolo) è consigliabile non abbassare la guardia. Possono ancora colpirci. E occhio alle rivolte nel Nord Africa. Può essere che ci siamo dimenticati del terrorismo. Ma il terrorismo, come garantisce Barak Obama “non si è dimenticato di noi”.

Enrico Pirondini

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