Cronaca

Via al Festival Verdi al Regio di Parma, applaudito il Rigoletto

Nell’euforico e vivace clima di «Tutto è gioia, tutto è festa!», in sintonia con quanto realizzato sulla scena, anche quest’anno ha preso il via al Regio di Parma la nuova edizione del Festival Verdi; rassegna contraddistinta da un mutamento dell’amministrazione comunale cittadina e, conseguentemente, da un cambio dei vertici nella gestione del teatro. In cartellone, in luogo del previsto e atteso Otello, un capolavoro tra i più popolari del repertorio operistico, Rigoletto, riproposto in una versione rivisitata dell’indimenticabile Pier Luigi Samaritani: allestimento già applaudito sul medesimo palcoscenico emiliano nel 1987 e qui ripreso da Elisabetta Brusa che, tuttavia, non ha saputo cogliere appieno gli aspetti pittorici e illuminotecnici voluti dal regista piemontese.

Allora, come nella presente circostanza, il complesso ruolo del titolo era interpretato da un ben più giovane Leo Nucci, baritono di gran carriera sempre coinvolgente nella parte del buffone di corte ma, a distanza di venticinque anni, comprensibilmente penalizzato da alcuni problemi vocali. A Parma il cantante, che peraltro ha ricevuto la cittadinanza onoraria, è assai amato e tutto gli si perdona, tantoché il pubblico non ha esitato ad applaudirlo insistentemente in più momenti, nonostante le difficoltà evidenziate soprattutto in zona acuta e nelle dinamiche del fraseggio. Nell’edizione del 1987 debuttava in maniera assoluta quale solista il basso parmigiano doc Michele Pertusi, Sparafucile, presente pure ora, efficace nel registro centrale e capace di un fraseggio espressivo. Con qualche problema di appoggio, ma sostanzialmente buona la prova del tenore Piero Pretti, un Duca di Mantova intento a far emergere, sin dalla briosa ballata in 6/8 del primo atto «Questa o quella», i caratteri di un personaggio dai modi aristocratici ed eleganti, ma altrettanto capricciosi e superficiali, così come talvolta affettuosi e appassionati. Non ha deluso le aspettative neppure il soprano australiano Jessica Pratt (Gilda), artista dotata di purezza di suono e agilità nel registro acuto. Unica figura positiva del lavoro verdiano, ha proposto con bravura innanzitutto la sognante aria «Caro nome», evidenziandone ingenuità e lirismo, ma non leziosità, per giungere sino al duetto finale «V’ho ingannato», dove sono emerse le potenzialità dell’artista nel gioco dei portamenti.

Caratterizzata con sin troppa enfasi nel terzo atto da Barbara Di Castri la figura della frivola e innamorata Maddalena che, con qualche problema, accanto al sensuale duca,  si è posta in contrasto con l’angosciato e singhiozzante soprano e col rancoroso deforme gobbo. Nel cast figuravano pure Alisa Dilecta (Giovanna), George Andguladze (Monterone), Valdis Jansons (Marullo), Matteo Borsa (Patrizio Saudelli), Alessandro Busi (Conte di Ceprano), Leonora Sofia (contessa di Ceprano), Alessandro Bianchini (usciere).

Professionale il coro maschile – preparato da Martino Faggiani – quasi sempre puntuale per colore, intonazione, ritmo e capace di delineare tanto l’ambiente maligno e spregiudicato della corte ducale mantovana, quanto, a bocca chiusa, le inquietanti forze della natura.

La lettura dell’opera da parte di Daniel Oren, alla testa dell’orchestra Filarmonica Arturo Toscanini, spigliata e volta a evidenziare il sicuro mestiere del direttore di chiara fama, è risultata sostanzialmente accurata nelle dinamiche, con ben caratterizzati alcuni contrasti tematici; talora i cantanti hanno manifestato comunque difficoltà a seguire il gesto del maestro. Certo non è semplice coordinare pagine quali l’Allegro con brio dell’Introduzione dove intervengono, oltre all’orchestra, la banda interna, un gruppo di strumenti ad arco (non collocato in palcoscenico come previsto da Verdi) e il coro. Ma ancor più arduo risultata mantenere viva la tensione drammatica in una vicenda che richiede assoluta duttilità e varietà nei colori per far emergere al meglio ora i momenti squisitamente lirici, ora gli aspetti drammatici o narrativi della vicenda.

La recita è stata coronata da calorosi applausi da parte del folto pubblico in sala e, come da tradizione, Nucci ha replicato la cabaletta «Sì, vendetta, tremenda vendetta».

Paola Cirani

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