Tetto al contante, Pos, evasione fiscale: cosa dicono i dati
(Adnkronos) – La principale obiezione che si solleva quando di parla del legame tra nuovo tetto all’utilizzo del contante ed evasione fiscale è che vada aggredita la grande evasione e non quella quotidiana, fatta di somme piccole e di comportamenti, tutto sommato, veniali. L’idea che passa è che ci sia una soglia, per il contante e anche per l’obbligo di accettare pagamenti digitali, al di sotto della quale sia tollerabile e anzi auspicabile la circolazione senza controlli delle banconote.
Oggi, nella sua audizione in Parlamento sulla manovra, Bankitalia ha sostanzialmente confutato questa tesi. Su un doppio binario. Quello delle conseguenze delle misure introdotte in manovra, il tetto a 5000 euro per i contanti e lo stop all’obbligo di accettare il Pos sotto i 60 euro, e quello delle misure strettamente fiscali, a partire dalla flat tax estesa per le partite Iva fino a 85mila euro.
Le valutazioni di Via Nazionale convergono su una presa d’atto piuttosto netta, su un fronte e sull’altro. Soglie “più alte” per l’utilizzo del contante “favoriscono l’economia sommersa” mentre “l’uso di pagamenti elettronici permettendo il tracciamento delle operazioni ridurrebbe l’evasione fiscale”. I limiti all’uso del contante, “pur non fornendo un impedimento assoluto alla realizzazione di condotte illecite, rappresentano un ostacolo per diverse forme di criminalità ed evasione”. I dati del Politecnico di Milano dicono che quelle sotto i 60 euro sono l’80% del totale delle transazioni fatte con carte di credito e bancomat.
Passando al fronte fiscale, Bankitalia evidenzia che l’introduzione “di una flat tax incrementale difficilmente potrà eliminare l’eccessiva concentrazione dei fatturati dichiarati su valori appena inferiori alla soglia”. Non solo. “In un periodo di inflazione elevata, la coesistenza di un regime a tassa piatta e uno a progressività come l’Irpef comporta una ulteriore penalizzazione a chi è soggetto a quest’ultimo”. Si pone “un rilevante tema di equità orizzontale, con il rischio di trattare diversamente, in modo ingiustificato, individui con stessa capacità contributiva”.
A queste valutazioni, si possono accostare i dati disponibili sulla distribuzione del carico fiscale. L’estensione della flat tax, visti i livelli di reddito dichiarati, implica che rientreranno nel regime forfettario la quasi totalità dei professionisti e una larga parte dei lavoratori autonomi. Considerata anche la tendenza accertata a dichiarare meno per rientrare nella soglia, il cosiddetto fenomeno dei ‘falsi minimi’. Come riconosciuto dal Tesoro, quando ancora era guidato da Daniele Franco: “L’introduzione di una flat tax sino a una certa soglia può generare comportamenti anomali in corrispondenza della soglia medesima”. Per quanto riguarda, invece, dipendenti e pensionati è utile andare a guardare le dichiarazioni per l’Irpef. Chi ha redditi sopra a 35mila euro rappresenta una quota sul totale dei contribuenti del 12,99%, pari a 5 milioni di italiani, e paga il 59,95% dell’imposta sui redditi delle persone fisiche. Metà degli italiani non versa neanche un euro. Anche in questo caso, i numeri dicono che una quota consistente di evasione fiscale è trasversale a tutte le fasce di reddito. E che, di conseguenza, aumentare il numero di transazioni non tracciate può agevolare ulteriormente comportamenti scorretti sul piano della fedeltà fiscale.
Ecco perché Bankitalia dice quello che dice e perché le misure introdotte dalla manovra, a prescindere dal legittimo indirizzo politico che le ispira, hanno l’effetto, difficilmente contestabile, di allargare una zona grigia in cui i controlli diventano difficili e in cui, potenzialmente, si annida il rischio di più evasione e meno equità fiscale. (di Fabio Insenga)