Meloni nell’arena Montecitorio, da migranti a fisco: “Rivendico scelte fatte”
(Adnkronos) – Di lotta, ma anche di governo. Giorgia Meloni torna a Montecitorio per il question time, arriva da Palazzo Chigi attraversando il sottopasso con cui il presidente del Consiglio può accedere direttamente alla Camera. Dribbla i cronisti, seguita dalla fedelissima Patrizia Scurti e scortata dai commessi tira dritta fino in Aula, dove, ad attenderla, c’è il primo ‘duello’ con la neo segretaria dem Elly Schlein, ma anche la prima interrogazione sui migranti dopo la strage di Cutro, alla vigilia dell’incontro con i parenti delle vittime – attesi oggi alle 10.30 a Palazzo Chigi – e mentre il mare, nella bonaccia, continua a restituire i corpi portando la drammatica conta delle vittime a quota 86.
Sono giorni durissimi per il premier, il volto teso tradisce la tensioni di due settimane senza fine. Il question time di +Europa, che vede all’esordio un altro neo segretario, Riccardo Magi, benché tutti i riflettori siano puntati su Schlein, chiede conto dell’incidente di domenica scorsa in acque libiche, quando un barcone con 47 migranti a bordo si è rovesciato durante il trasbordo con un mercantile, con il drammatico bilancio di 30 persone finite in fondo al mare. Meloni non ci sta e passa al contrattacco, come, a ben guardare, dal primo giorno in cui il governo è finito sotto accusa per la strage di Spezzato di Cutro. E attacca le opposizioni, accusandole di “calunniare l’Italia” per “fini politici” sul tema immigrazione. “La nostra coscienza è a posto – scandisce guardando i banchi delle opposizioni, mentre, al suo fianco, annuisce vistosamente Matteo Salvini – spero che chi attacca il governo ma non spende una parola contro la mafia degli scafisti possa dire lo stesso”.
Medesimo trattamento viene riservato a Schlein, che chiede conto del salario minimo, mentre in Aula fa capolino anche il leader del M5S Giuseppe Conte, che, pochi minuti prima del question time, twitta con entusiasmo l’approdo in commissione Lavoro della proposta sul salario minimo, “la nostra perseveranza ha pagato”. Di certo però non ha convinto Giorgia Meloni.
“C’è un problema – risponde infatti il presidente del Consiglio ad un’agguerritissima Schlein che le chiede cosa intenda fare per contrastare il “lavoro povero” – chi ha governato fino ad ora ha reso più poveri i lavoratori italiani e ora questo governo deve fare quello che può per invertite la rotta”. Quindi l’affondo: “Il salario minimo non è la soluzione, serve tagliare le tasse”, scandisce Meloni postando poi su Facebook, a stretto giro dalla fine del question time, il suo entusiasmo per la “rivoluzione fiscale” attesa domani in Cdm, con il varo di una riforma “che garantisca meno tasse, più crescita, equità e che getti le basi per un nuovo rapporto di fiducia tra fisco e contribuenti”.
E dovrà ribadirlo anche venerdì a Rimini, dove affronterà il congresso della Cgil che oggi il segretario Maurizio Landini ha aperto intimando il governo di ritirare la delega fiscale. Per Meloni una mission delicata e non scevra di possibili fischi e contestazioni. Tant’è che nei Palazzi romani da giorni rimbalzano i timori che Meloni alla fine non vada, ripiegando su un videomessaggio. Non è così. “Certo che andrò…”, risponde dritta lasciando l’Aula della Camera a chi gli chiede se sarà a Rimini o se ci siano davvero cambi di programma nell’aria.
In transatlantico rumoreggiano politici navigati e neoeletti. Schlein è scortata fino alla buvette dalla curiosità dei cronisti, Conte, dall’altro lato del grande salone in stile liberty, ‘bacchetta’ il premier, il renziano Luigi Marattin stigmatizza la “non risposta” avuta da Meloni sul Mes e sull’attesa ratifica, “hanno ridotto la politica a un reality show”, ribadisce seccato. Sui tempi per un sì o un no al Meccanismo europeo di stabilità non una parola dal premier. “Finché ci sarà un governo guidato da me l’Italia non potrà mai accedere al Mes. E temo che non potranno accedere neanche gli altri”, si è limitata a ribadire il presidente del Consiglio.
Che, in un question time a tutto campo, è intervenuta anche sulla direttiva Ue sulle case green, fortemente osteggiata dalla sua maggioranza. “Con il voto di ieri – le parole di Meloni – il Parlamento europeo ha ritenuto di inasprire ulteriormente il testo iniziale e questa scelta, che noi consideriamo irragionevole, che consideriamo mossa da un approccio ideologico, impone al governo di continuare a battersi per difendere gli interessi dei cittadini e della Nazione”.
Come sullo stop a diesel e benzina, con la deadline del 2035 che incombe. “L’Italia condivide gli obiettivi della transizione verde e quella digitale ma la stessa parola transizione presuppone un percorso graduale, non si può assecondare un processo che sull’altare della decarbonizzazione ci conduce dritti alla deindustrializzazione”. E la politica Ue, mette in guardia il premier, “rischia di delocalizzare la produzione automobilistica in Paesi extra Ue. Ci sono alternative per coniugare sviluppo e sostenibilità. Occorre l’uscita dai carburanti inquinanti” senza punire “gli interessi dell’Italia dei lavoratori”. In sintesi, “non si può devastare il nostro sistema produttivo e creare altri disoccupati”.
Torna di lotta Meloni, tanto che, quando il M5S le chiede un contributo di solidarietà per le banche per aiutare famiglie e aziende alle prese con la corsa dissennata dei tassi dei mutui, risponde tirando in ballo il superbonus, misura cara ai grillini e uscita malconcia dai primi mesi del governo Meloni: “La norma che nasceva da un presupposto condivisibile ha prodotto conseguenze sulle quali il governo lavora da mesi. Una norma che ha consentito la proliferazione di un mercato opaco di circolazione dei crediti fiscali a tutto vantaggio delle imprese ma dei vari intermediari finanziari intervenuti a raccogliere questi crediti”. Di lotta, appunto, ma anche di governo: “Siamo pronti a correggere gli squilibri”. Poco dopo fa ritorno a Palazzo Chigi e twitta: “Avanti a testa alta”, postando una foto che la ritrae durante il question time.