Julian Assange, oggi il verdetto sull’estradizione in Usa
(Adnkronos) – Qual è il destino di Julian Assange? A decidere se il cofondatore di Wikileaks finirà i suoi giorni nella cella di una prigione americana sarà oggi, 21 febbraio, l’Alta Corte britannica che emetterà il verdetto sulla concessione o meno dell’estradizione negli Usa, dove sulla testa del giornalista pendono 18 capi di imputazione e una possibile condanna a 175 anni di carcere per aver divulgato migliaia di file riservati denunciando anche abusi commessi dalle forze armate americane in Iraq e Afghanistan.
Ieri Assange non ha partecipato all’udienza di quello che potrebbe essere il suo ultimo procedimento legale in Gran Bretagna. Le voci dicono che si è rotto una costola per via della tosse. Del resto, che sia da tempo in condizioni precarie e malandate di salute è difficile negarlo, dopo un regime di isolamento di 5 anni. Il suo avvocato, Ed Fitzgerald, ha precisato infatti – in apertura d’udienza – che non sta bene e, nonostante avesse il permesso di partecipare di persona, è rimasto nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh a Londra, dove si trova dal 2019, senza aver subito alcun processo, in attesa dell’estradizione.
Il cofondatore di WikiLeaks si era rivolto al tribunale inglese per presentare appello contro l’estradizione negli Stati Uniti, dove è ricercato per aver violato il National Espionage Act, la legge sullo spionaggio americana, che risale al 1917. E’ accusato di aver pubblicato attraverso WikiLeaks, a partire dal 2010, circa 700mila documenti riservati, relativi alle attività militari e diplomatiche degli Stati Uniti, in particolare su crimini di guerra compiuti dai soldati statunitensi nel corso dei conflitti in Iraq e Afghanistan. E di aver messo così in pericolo molte vita. Ma finora non è emersa alcuna responsabilità in tutti questi anni di fatti simili, stando almeno alle cronache. Secondo le accuse sarebbe invece una spia da processare e, come tale, nel caso venga ritenuto effettivamente colpevole, rischia una pena detentiva fino a 175 anni in un istituto di pena statunitense.
Ma i tribunali inglesi nel 2021 avevano negato la richiesta Usa, ribaltando tuttavia in seguito la sentenza. Sono passati altri anni e adesso si è arrivati a un punto di non ritorno. Nel caso il ricorso non venisse accolto sono terminate per il prigioniero di Belmarsh le possibilità di azione legale in Gran Bretagna e l’unica soluzione in tal senso resterebbe il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, la Cedu. Ci si interroga intanto anche sulle eventuali ricadute diplomatiche della vicenda giudiziaria, dato che l’Australia vorrebbe che Assange facesse ritorno in patria, senza essere estradato negli Usa. Il primo ministro del Commonwealth dell’Australia, Anthony Albanese, si è speso per questo anche nel corso del suo ultimo viaggio negli Usa.
Stella Moris, avvocata e moglie di Julian, ha dichiarato alla Bbc che questa vicenda giudiziaria – definita da alcuni il caso Dreyfus del XXI secolo – è “destinata a decidere se egli vivrà o morirà”. Davanti alla Royal Courts of Justice di Londra, sede dell’Alta Corte inglese, ieri per tutta la giornata numerosi attivisti e sostenitori del giornalista australiano hanno parlato da una postazione improvvisata, chiedendo la sua liberazione e invocando la libertà di stampa e la difesa dei diritti umani. “Se lui non è libero, nessuno è libero”, lo slogan, mentre nastri dorati con la scritta “Liberate Julian Assange subito!” sventolavano fuori dal tribunale, sulle ringhiere di metallo o appese ai rami degli alberi.