Natalità, Rago (Pertini): “Contro calo nascite cultura fisiologia della riproduzione”
(Adnkronos) – Il crollo della natalità sembra ormai avviarsi verso un declino irrefrenabile. I dati dell’Istat parlano chiaro e fotografano una media di 1,2 figli per donna. La diminuzione delle nascite rispetto al 2022 è del 3,6 %. Questo è quanto emerge dagli indicatori demografici relativi all’anno 2023 e pubblicati dall’Istat. Secondo i dati provvisori, i nati residenti in Italia sono 379mila, con un tasso di natalità pari al 6,4 per mille (era 6,7 per mille nel 2022). La diminuzione delle nascite rispetto al 2022 è di 14mila unità (-3,6%). Dal 2008, ultimo anno in cui si è assistito in Italia a un aumento delle nascite, il calo è di 197mila unità (-34,2%). Il numero medio di figli per donna scende così da 1,24 nel 2022 a 1,20 nel 2023, avvicinandosi di molto al minimo storico di 1,19 figli registrato nel lontano 1995.
“La situazione non è grave. E’ gravissima”, afferma Rocco Rago, direttore dell’Unità operativa di Fisiopatologia della riproduzione dell’ospedale Sandro Pertini di Roma e direttore del Dipartimento materno-infantile della Asl Roma 2, in occasione della XVIII edizione delle Giornate di andrologia e medicina della riproduzione, il più grande congresso di medicina della riproduzione che si tiene ogni anno a Sabaudia. “Innanzitutto – osserva Rago – c’è da dire che l’età media delle donne che vanno alla ricerca di una tecnica di procreazione assistita è arrivata a quasi 37 anni e a oltre 42 se effettua un’eterologa. Il numero medio di figli per donna è oggi a 1,2 e rappresenta il dato più basso dal dopoguerra. Anche se è ancora una stima, quella del 2024 ci porta tra i 350 e i 360mila nati, quindi verso un dato già fortemente negativo rispetto al 2021 che era di 399mila nuovi nati. Teniamo presente che nel 1964 in Italia nascevano 1 milione e 350 mila nati. Nel 2024 quel milione ce lo siamo persi”.
I dati sono allarmanti e ci raccontano che la posticipazione delle nascite è un fenomeno di significativo impatto sulla riduzione generale della fecondità, dal momento che più si ritardano le scelte di maternità più si riduce l’arco temporale disponibile per le potenziali madri. “L’età anagrafica in cui si ricerca una gravidanza si è spostata in avanti di 10 anni – continua l’esperto – e a questa si aggiungono le patologie oncologiche, gli stili di vita e anche le abitudini culturali che sono cambiate nel desiderio di una gravidanza”. Tutti questi fattori fanno si che la difficoltà di concepimento e l’infertilità di coppia siano sempre più al centro dell’attuale dibattito.
Dal momento che molte persone non conoscono le cause dell’infertilità, sensibilizzare l’opinione pubblica è una sfida cruciale. Stereotipi e idee sbagliate, in particolare tra le giovani generazioni, rischiano di intaccare il progetto di un figlio. Anche la stessa concezione della scienza come soluzione sempre e comunque efficace può portare a sottostimare elementi come il calo di fertilità legato all’avanzare dell’età.
Per cercare quindi di invertire questo trend negativo, spiega lo specialista, “dobbiamo iniziare col diffondere una cultura della fisiologia della riproduzione, spiegando alle giovani generazioni che la donna ha un orologio biologico che ha una sua scadenza. Non tutti infatti sanno che sopra i 35 anni inizia un calo della fertilità e che se si desidera avere un figlio bisogna cominciare a pensarci prima di quell’età. Non sarà una cosa che faremo in un anno, ma nei decenni successivi, iniziando piano piano a modificare già da ragazzi quella che può essere la cultura della fertilità. Bisogna essere consapevoli che nella vita si fanno delle scelte: se si decide di avere una vita incentrata sul singolo va benissimo, ma se poi questa non combacia col desiderio di una gravidanza, allora è una cosa di cui si deve essere informati”.
“Un’altra attività su cui sarebbe necessario investire – aggiunge – sono le infrastrutture che dovrebbero essere messe a supporto della donna che vuole lavorare anche avendo uno o più figli. Oggi non abbiamo più quella famiglia allargata che avevamo una volta e che consentiva alle donne di tornare a lavoro lasciando i propri figli accuditi da nonni e parenti. Oggi c’è necessità di avere dei servizi accessibili, sia da un punto di vista economico, sia da un punto di vista della presenza di questi servizi”.