Spettacolo

Un programma stuzzicante per splendidi esecutori La Royal Concertgebow al Ponchielli

FOTO DI FRANCESCO SESSA

Quando ai loggionisti viene offerto di calare in platea, vuol dire che proprio il teatro è mezzo vuoto. La cameristica è cosa per intenditori? Non crediamo, ma comunque veramente una stagione di musica da camera a Cremona farebbe sempre il tutto esaurito in quel potenziale auditorium che rimane l’ex cinema “Tognazzi” (sempre che l’acustica sia favorevole), invece il teatro “Ponchielli” di Cremona con cinquecento persone sembra quasi desolato. Così il 13 gennaio in occasione dello splendido concerto offerto dai solisti della Reale Orchestra della Sala dei Concerti di Amsterdam (meglio nota come Royal Concertgebow). Splendido per i bravissimi esecutori ma anche a

Un momento del concerto

partire da un programma stuzzicante perché anticlassico e antiromantico abbastanza per essere gustato dal palato anche degli ascoltatori più tradizionalisti (o almeno speriamo: c’è chi va alla Concertistica solo se si esegue Mozart o Schubert), i quali avranno invece forse riposato le orecchie nella classicheggiante Suite per clarinetto e quartetto d’archi di Busoni, pezzo nemmeno brutto anzi gradevole, soprattutto dopo l’impressionista esordio col Fauno di Debussy in una trascrizione per archi arpa clarinetto e flauto che purtroppo rende al minimo gli incanti sonori della versione originale per orchestra. Di certo il momento più apprezzato dall’applausometro è stato l’esibizione solistica dell’arpista Lavinia Meijer con un pezzo insospettabilmente estasiante quale è l’Impromptu-Caprice di Pierné, d’impronta tonale ma con gesti e guizzi di originalità strabilianti, resi in maniera energica e musicalissima dall’interprete. E in effetti quando mai si vede suonare dal vivo (a Cremona poi) uno strumento così bello e così pieno di fascino come l’arpa! E allora eccola ancora ben in vista anche nel Settimino di Ravel – a contendersi la scena col clarinetto – , pagina sfolgorante e profumata che decreta i più vivi consensi da parte del pubblico. Forse valeva la pena fosse quest’ultimo i pezzo di chiusura della serata, avrebbe certo strappato più prolungati applausi di quelli riservati, invece, a quel venerabile capolavoro quartettistico di Debussy, che nella sua gran varietà di alchimie melodico-armonico-ritmiche è forse il pezzo meno capito dal pubblico del Ponchielli che (per fortuna) non è certo costituito da intenditori e da musicisti.

 

Paolo Bottini

 

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