Cronaca

Intervista, Sgarbi: "Il genio di Ligabue per l'Expo 2015"

Sopra, Sgarbi al Teatro Ruggeri di Guastalla

C’era il pubblico delle grandi occasioni sabato scorso al Teatro Ruggeri (tutto esaurito) per ascoltare la “lectio magistralis” di Vittorio Sgarbi, impegnato a raccontare il valore artistico di due grandi pittori rivieraschi del Po: Antonio Ligabue e Pietro Ghizzardi. Messa all’angolo per una volta la Politica con piccole e rare eccezioni (“Bossi è meglio di Maroni”, “non sorprende se molti politici non sono laureati,e quelli che lo sono vanno male ugualmente”) Sgarbi ha esaltato le opere dei due grandi pittori rivieraschi demolendo la critica ufficiale (in testa Barilli e Argan) che li hanno a lungo ignorati non riuscendo a “classificarli essendo artisti liberi”.

Sa sinistra:il sindaco di Guastalla Giorgio Benaglia, l'editore Augusto Agosta Tota, il crtitico Marzio Dall'Acqua, il regista Salvatore Nocita

Il critico d’arte ferrarese è stato preceduto sul palcoscenico dalla introduzione di Mario Fiori, direttore del “Centro sudi & Archivio Antonio Ligabue” di Parma (“ringrazio il sindaco Benaglia e l’assessore Bartoli che hanno reso possibile la serata-evento), dagli editori Augusto Tota e Franco Maria Ricci (entrambi in platea) e del regista Salvatore Nocita che nel 1977, realizzando il famoso sceneggiato su Ligabue, ha reso popolare l’artista vincendo a sua volta premi internazionali.

Nocita è poi salito sul palco raccontando come ha conosciuto Ligabue nel 1962 (“era sotto un portico di una cascina, lanciava suoni, era vestito con la divisa di un poliziotto della stradale; è stato il mio porta fortuna”) e l’emozione che prova ogni volta che viene nella Bassa (“qui si respira un’aria giusta, sono felice di essere tra voi”).

Il critico Marzio Dall’Acqua ha ripercorso gli anni di Ligabue e di Ghizzardi, riferendo i loro primi grandi successi internazionali (“Ligabue ha trionfato a Parigi e a Zurigo”) . In particolare di Pietro Ghizzardi (nato a Viadana nel 1906) ha ricostruito i primi anni difficili dell’artista – morto a Boretto nel 1986 – ma anche la sua “estrema emarginazione”; era uno che “lavorava sui cartoni raccattati qui e là”, e “con quella barba lunga aveva persino un’aria da profeta”. Di Ghizzardi sta per essere approntata la prima catalogazione generale.

Poi la giovane annunciatrice Alessandra Iraide Leidi ha letto la scheda di Sgarbi introducendolo tra le ovazioni del pubblico.

Sgarbi ha iniziato rendendo omaggio al poker che gli ha fatto conoscere ed amare Ligabue (De Micheli, Mazzacurati, Franco Maria Ricci, Augusto Tota) ricostruendo la storia dell’arte dal Trecento ad oggi, dichiarandosi “inventore del termine Padania” in ossequio al primo vero inventore del vocabolo, il critico e suo maestro Arcangeli. Poi ha ricordato Roberto Longhi, la sua teoria del “blocco padano”( l’arte da Wiligelmo, attivo a Modena, a Giorgio Morandi, pittore e incisore bolognese morto nel 1964).

Infine Sgarbi ha citato il suo ultimo libro sull’arte contemporanea. In serata a tavola si è informato del Cristo ligneo del duomo di Guastalla, recentemente restaurato in un laboratorio di Reggio Emilia, ed ha firmato decine di autografi e dediche sul frontespizio del suo ultimo libro (“L’arte è contemporanea, ovvero l’arte di vedere l’arte”, ed.Bompiani. (e.p.)

L’INTERVISTA

Professor Sgarbi, Antonio Ligabue (1899-1965) è stato un grande pittore del nostro Novecento. Ora vogliono le sue opere anche a New York e all’Expo di Milano. Sorpreso?
“No. Perché Ligabue incarna quel genio artistico che nella sua assoluta istintività, nella sua arcaica complicità con la natura, è in grado di inserirsi a pieno titolo nell’arte contemporanea. Proponendo un linguaggio figurativo che parla di cose semplici”.
Per questo piaceva molto anche a Cesare Zavattini…
“Certo.  Perché Ligabue è il perfetto artista popolar; piaceva a Zavattini e a coloro che trovano in lui un sicuro punto di riferimento nella cultura italiana del dopoguerra”.
Che popolarità è quella di Ligabue?
“Una popolarità che supera anche le contrapposizioni sociali e politiche che esistono ancora tra gli osservatori delle sue opere”.
Professore, per Ligabue sono state prodotte molte definizioni, da “genio popolare” a “poeta contadino”. Lei quale preferisce?
“Guardi, Ligabue è un genio popolare perché viene conosciuto  attraverso una combinazione nella quale la vicenda autobiografica e la malattia mentale  svolgono un ruolo decisivo.”
E l’etichetta di “poeta contadino”?
“Beh il Ligabue poeta contadino è una etichetta che, all’epoca della sua scoperta che ha visto coinvolte personalità come Zavattini e Mazzacurati, rispondeva ancora a istanze in linea con il concetto di “arte popolare” caro al Neorealismo e più in generale alla cultura della Sinistra politica”.
Negli anni Settanta-Ottanta la popolarità di Ligabue ha registrato picchi impensabili…
“La riscoperta di Ligabue è stata introdotta dallo sceneggiato Rai di Salvatore Nocita (1977) ed aveva pure motivazioni ideologiche”.
Quali?
“Ligabue diventava, è diventato, l’emblema del riscatto dalla malattia mentale proprio nel momento in cui Franco Basaglia, padre dell’anti-psichiatria italiana, dopo l’esperienza all’ospedale psichiatrico di Trieste, innestava un meccanismo a catena che di lì a poco avrebbe conseguito anche l’avallo della legge”.
Dunque un Ligabue “strumento” anche di una battaglia civile”?
“Agli occhi dell’opinione pubblica certamente il recupero di Ligabue ha finito per inserirsi in una più complessiva battaglia civile che, per la prima volta in Italia, ha riconosciuto la dignità del malato di mente. Nessuno meglio di Ligabue avrebbe potuto simbolizzare questo progresso, importante nella evoluzione della società italiana di quegli anni”.
Professor Sgarbi, che Ligabue abbiamo oggi?
“Oggi abbiamo un Ligabue più concreto di quanto non risultasse in passato”.
Cioè?
“Un artista in cui l’istinto gioca certamente un ruolo di notevole rilievo,ma che non è certo privo di quella che viene chiamata la “ragione dell’arte”, cosciente di avere una base di formazione, per quanto empirica e non colta”.
Riflessioni che si leggono anche nel suo ultimo libro, presentato a Guastalla, ovvero “L’Arte è contemporanea”.
“Vede, l’opera d’arte è, e basta. Così come la bellezza è. L’arte non ha bisogno di specialisti per essere capita. Per questo dico nel libro e non solo: tutta l’arte è arte contemporanea. E contemporaneo è un dato non ideologico ma semplicemente cronologico. E’ questa la forza dell’arte in divenire che va ritenuta contemporanea non in quanto più o meno sperimentale, più o meno avanzata, ma solo in quanto concepita, elaborata ed espressa nel nostro tempo”.
Non c’è dunque altro modo di essere contemporanei?
“Non c’è altro modo di essere contemporanei che essere qui e ora”.

Enrico Pirondini

 

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