Cronaca

Beatificazione di mons. Cazzani e don Mazzolari, iter al via

Nella foto, a sinistra don Primo Mazzolari, a destra l’arcivescovo Cazzani

Si è svolta nei giorni scorsi la riunione della Conferenza Episcopale Lombarda (CEL) composta dai vescovi delle 10 diocesi di Lombardia presieduta dall’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola.  I componenti della CEL si sono riuniti in Vaticano venerdì 15 febbraio a margine del programma della visita a Limina. I vescovi lombardi hanno approvato l’avvio dell’iter canonico per l’introduzione della causa di beatificazione di fratel Ettore Boschini (promossa dalla Diocesi di Milano), Carlo Acutis (promossa dalla Diocesi di Milano), fra Jean Thierry (promossa della Diocesi di Milano), don Primo Mazzolari (promossa della Diocesi di Cremona), monsignor Giovanni Cazzani (promossa della Diocesi di Cremona) e Teresio Olivelli (promossa dalla Diocesi di Vigevano).

L’arcivescovo Cazzani

Il sessantesimo anniversario della morte di monsignor Giovanni Cazzani, arcivescovo di Cremona dal 1914 al 1952, è stato celebrato domenica 26 agosto 2012. Monsignor Cazzani, originario di Samperone in provincia di Pavia, è unanimemente considerato uno dei pastori più insigni della Chiesa cremonese: apprezzatissimo per la vasta cultura e la sincera pietà, guidò con mano ferma e sapiente la diocesi nel mezzo di due guerre mondiale, della dittatura fascista e del difficile tempo della riconciliazione e della ricostruzione dopo la Liberazione dal giogo nazista. Particolarmente attento allo sviluppo dell’associazionismo cattolico e alla preparazione culturale e spirituale dei suoi sacerdoti, compì 6 visite pastorali, indisse 3 sinodi, scrisse 38 lettere pastorali.

L’11 aprile 1915, nel pieno della grande guerra, il vescovo Giovanni fa il suo ingresso in diocesi, preceduto da una lettera pastorale nella quale si possono scorgere i tratti fondamentali della sua azione nella nostra diocesi. In tale documento traspare anzitutto la sua fede radicata, la sua dedizione alla preghiera, la sua passione per la Parola di Dio, ma anche il suo zelo per la cura delle anime e la sua profonda cultura che fin da subito lo impone come un grande maestro di dottrina e un fine predicatore.

Dal carattere mite, ma estremamente fermo e chiaro, si contrappone al sindacalista Guido Miglioli quando esagera nei toni contro i proprietari terrieri, così come si oppone, con indomito coraggio, alla tracotanza fascista e alle minacce di Roberto Farinacci, ras indiscusso della città per tutto il tempo del Ventennio. Pur mostrando un profondo spirito di patria e una sincera lealtà alle autorità costituite, Cazzani manifesta sdegno e riprovazione quando è chiusa d’imperio l’Azione Cattolica, quando si minaccia l’educazione cristiana delle nuove generazioni o quando iniziano le persecuzioni contro gli ebrei. Particolarmente significativa è la lettera pastorale per la Quaresima del 1944 dove già egli vede oltre la guerra. Nel testo, lodato da tutto l’episcopato lombardo, egli prospetta una nuova serie di pericoli che, specie tra le classi meno abbienti, già sembrano profilarsi tanto nell’ambito religioso che in quello sociale. Tra quei pericoli elenca le insidie già serpeggianti «di un socialismo e di un comunismo ateo e materialista» non meno deprecabili, sul lato opposto, di quelle «del liberismo economico e del sistema capitalistico fondato su di esso». A tutto ciò contrappone le linee di una sana e autentica «riforma sociale cristiana».

Il giorno successivo alla liberazione d’Italia, il 26 aprile 1946, pubblica un Manifesto alla cittadinanza intonato alle parola d’ordine: «carità e pace». E come si prodigò per mitigare le violenze fasciste, così si impegna a contrastare le vendette dei partigiani invocando un «esercizio della giustizia che si compia nei modi e nelle forme convenienti a un popolo civile».

Per i suoi alti meriti ecclesiali e civili Pio XII, Il 25 maggio 1944, gli conferisce il titolo personale di arcivescovo.

Don Primo Mazzolari

Primo Mazzolari nacque al Boschetto, una frazione di Cremona, il 13 gennaio 1890, figlio di Luigi e di Grazia Bolli. Il padre era un piccolo affittuario, che manteneva la famiglia con il lavoro dei campi. Primo fu il primogenito, poi vennero Colombina, Giuseppe (Peppino), Pierina, Giuseppina. Nel 1900, spinta dalla necessità di trovare migliori condizioni di lavoro e di vita, la famiglia Mazzolari si trasferì a Verolanuova, in provincia e diocesi di Brescia. Due anni dopo, terminate le scuole elementari, Primo decise di entrare in seminario. Fu scelto, per la vicinanza dei parenti, il seminario di Cremona, città dove era allora vescovo mons. Geremia Bonomelli, uomo celebre per le sue idee cattolico-liberali, di conciliazione con il giovane Stato italiano.

Rimase nell’istituto cremonese fino al 1912, anno nel quale fu ordinato prete. Per l’occasione egli tornò in famiglia, a Verolanuova e ricevette l’ordine sacro dal vescovo di Brescia, mons. Gaggia, nella chiesa parrocchiale. Il decennio trascorso a Cremona fu molto duro per il giovane seminarista. Non si può dimenticare che quelli erano i tempi della dura repressione antimodernista avviata da Pio X, che comportò nei seminari l’irrigidimento della disciplina, la cacciata dei professori ritenuti troppo innovativi e la chiusura ad ogni forma di dialogo con la cultura del momento. Anche Mazzolari dovette fare i conti con una seria crisi vocazionale, che riuscì a superare grazie all’illuminato aiuto del padre barnabita Pietro Gazzola, in precedenza allontanato da Milano proprio perché sospettato di indulgenze verso il modernismo. Lo stesso padre Gazzola profetizzò al giovane che la sua vita adulta sarebbe stata «una croce».

Divenuto prete, don Primo fu inviato come vicario cooperatore a Spinadesco (Cremona). Qui rimase circa un anno, venendo poi trasferito nella parrocchia natale, S. Maria del Boschetto. Poco dopo, però, nell’autunno del 1913 fu nominato professore di lettere nel ginnasio del seminario. Svolse tale funzione per un biennio, durante il quale utilizzò le vacanze estive per recarsi in Svizzera, ad Arbon, come missionario dell’Opera Bonomelli tra i lavoratori italiani là emigrati.

Era intanto scoppiata la Prima Guerra Mondiale e, nella primavera del 1915, si pose con forza il problema dell’atteggiamento italiano. Don Mazzolari si schierò in quel frangente tra gli interventisti democratici, così come altri giovani cattolici, tra i quali Eligio Cacciaguerra, animatore della Lega Democratica Cristiana e del giornale «L’Azione» di Cesena, a cui Mazzolari collaborò con diversi articoli. Si intendeva sostenere l’intervento militare italiano nella guerra al fine di eliminare per sempre le forme di militarismo simboleggiate dalla Germania e per contribuire ad instaurare un nuovo regime democratico e di collaborazione internazionale in tutta l’Europa.

La guerra comportò però subito un atroce dolore per il giovane prete. Nel novembre 1915, infatti, morì sul Sabotino l’amatissimo fratello Peppino, il cui ricordo rimase sempre vivissimo in don Primo. Questi aveva comunque già deciso di offrirsi volontario: fu così inserito nella Sanità militare e impiegato negli ospedali di Genova e poi di Cremona. Il timore di sentirsi ‘imboscato’ spinse però don Mazzolari a chiedere il trasferimento al fronte. Così nel 1918 fu destinato come cappellano militare a seguire le truppe italiane inviate sul fronte francese. Rimase nove mesi in Francia. Rientrato nel 1919 in Italia ebbe altri incarichi con il Regio Esercito, compreso quello di recuperare le salme dei caduti nella zona di Tolmino. Nel 1920 seguì un periodo di sei mesi trascorso in Alta Slesia insieme alle truppe italiane inviate per mantenere l’ordine in una zona che era stata forzatamente ceduta dalla Germania alla neonata Polonia. Tutte le testimonianze concordano nel raccontare dell’impegno e della passione umana con cui don Primo seguì in questi vari frangenti i suoi soldati.

Smobilitato nell’agosto 1920, don Mazzolari chiese al suo vescovo (mons. Giovanni Cazzani) di non tornare all’insegnamento in seminario, ma di essere destinato al lavoro pastorale tra la gente. Dall’ottobre 1920 al dicembre 1921 fu delegato vescovile nella parrocchia della Ss. Trinità di Bozzolo, un paese in provincia di Mantova, ma dipendente dalla diocesi di Cremona. Da qui fu trasferito come parroco nel vicino paese di Cicognara, a due passi dal fiume Po, dove rimase per un decennio, fino al luglio 1932.

A Cicognara don Primo si fece le ossa come parroco, sperimentando iniziative, riflettendo, annotando idee e, soprattutto, cercando forme nuove per accostare tutti coloro che si erano ormai allontanati dalla Chiesa. Il paese, infatti, aveva una forte connotazione socialista. Don Mazzolari cercò in vario modo di valutare positivamente le tradizioni popolari contadine, come la festa del grano e dell’uva, ma non trascurò di commemorare i caduti in guerra e le ricorrenze patriottiche. Durante l’inverno faceva la scuola serale per i contadini e istituì la biblioteca parrocchiale. L’avvento del fascismo lo vide fin dall’inizio diffidente e preoccupato, senza celare la propria intima opposizione. Già nel 1922 egli scrisse, a proposito delle simpatie di certi cattolici verso il nascente regime, che «il paganesimo ritorna e ci fa la carezza e pochi ne sentono vergogna». Nel novembre 1925 rifiutò di cantare solennemente il Te Deum dopo che era stato sventato un complotto per attentare alla vita di Mussolini. Egli preferiva infatti mantenersi su un piano esclusivamente religioso, tanto che perfino nel 1929 si differenziò dall’atteggiamento entusiastico di tanti vescovi e preti, non andando neppure a votare al plebiscito indetto da Mussolini dopo la firma dei Patti Lateranensi. Rifiutava intanto l’esaltazione acritica della guerra e del militarismo e respingeva ogni spirito settario e partigiano. Così, pur evitando di prendere posizioni di aperte rottura, don Primo fu presto considerato un nemico agli occhi dei fascisti e anzi un vero e proprio ostacolo alla ‘fascistizzazione’ di Cicognara, e la notte del primo agosto 1931 lo chiamarono alla finestra e spararono tre colpi di rivoltella che fortunatamente non lo colpirono.

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