Cronaca

Tamoil, processo 'madre', chieste le condanne: 13 anni la pena più alta

Dopo una requisitoria di 8 ore, spalmata nelle giornate di mercoledì 21 maggio e oggi, il pm Fabio Saponara ha chiesto le pene per i cinque manager a processo nel procedimento principale della Tamoil. Le accuse sono quelle di avvelenamento delle acque (quello più grave contestato dal 2001 al 2012) e l’omessa bonifica. Si va da un minimo di sei anni e 8 mesi ad un massimo di 13 anni, pene già ridotte di un terzo per il rito abbreviato con cui si celebra il processo.

La pena più alta è stata chiesta per Enrico Gilberti, di Robecco d’Oglio, amministratore delegato dal 2001 al 2004 della Tamoil Raffinazione e di preposto dal 1999 al 2006 e dal 2007 in poi. Per lui, 13 anni di reclusione, 4 mesi di arresto e 6.000 euro di ammenda (pena iniziale di 19 anni, sei mesi di arresto e 9.000 euro di ammenda);

Per Mohamed Saleh Abulaiha, libico, direttore generale della Tamoil Raffinazione dal 2007, il pm ha chiesto 11 anni di reclusione, quattro mesi di arresto e 6.000 euro di ammenda (pena iniziale di 16 anni, sei mesi di reclusione più sei mesi di arresto e 9.000 euro di ammenda);

Per Giuliano Guerrino Billi, di Cremona, amministratore delegato della Tamoil Raffinazione dal 1999 al 2001 e della Tamoil Italia dal 1999 al 2004, il pm ha chiesto 10 anni di reclusione (pena iniziale di 15 anni);

Per Ness Yammine, libanese, amministratore delegato dal 2006 della Tamoil Raffinazione e amministratore delegato e direttore generale della Tamoil Italia, chiesti 9 anni di reclusione, due mesi di arresto e 4.000 euro di ammenda (pena iniziale 13 anni e sei mesi di reclusione, più tre mesi di arresto e 6.000 euro di ammenda);

Infine per Pierluigi Colombo, di Abbiategrasso, direttore generale della Tamoil Raffinazione nel periodo 2006/2007, il pm ha chiesto 6 anni e 8 mesi di reclusione più due mesi di arresto e 4.000 euro di ammenda (pena iniziale 10 anni di reclusione più 3 mesi di arresto e 6.000 euro di ammenda).

Per tutti il pm ha chiesto il non doversi procedere per il reato di gestione di rifiuti non autorizzata per intervenuta prescrizione. Per il solo Billi, prescritto anche il reato di omessa bonifica.

I REATI

L’accusa è di non aver adottato idonei interventi di messa in sicurezza di emergenza per bloccare lo sversamento al suolo di sostanze inquinanti e di non essere intervenuti per “accertare l’effettiva esistenza del cosiddetto taglione lungo l’argine maestro del fiume Po che avrebbe dovuto impedire la migrazione delle sostanze inquinanti, attraverso la falda, oltre i confini della raffineria”, accettando in questo modo “il rischio di avvelenare le acque della falda superficiale, intermedia e profonda, aumentandone il grado di contaminazione da idrocarburi e metalli pesanti anche nelle aree circostanti al di fuori del perimetro della raffineria. In particolare, nelle comunicazioni inoltrate alla Regione Lombardia, alla Provincia e al Comune di Cremona nel marzo del 2001 per la Tamoil Petroli e per la Tamoil Raffinazione, Gilberti e Billi dichiaravano che non sussistevano i presupposti per interventi di messa in sicurezza di emergenza, quando invece il sito della raffineria si presentava già pesantemente inquinato quanto alle acque di falda e al suolo”. Gli imputati “sceglievano di non dare sollecito corso né alle specifiche richieste del Comune di Cremona, con cui si chiedeva la verifica dell’inquinamento anche delle aree esterne alla raffineria e di accertare la sussistenza della barriera naturale dell’argine maestro del fiume Po, né a quelle di Arpa, che richiedeva dettagliata indicazione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza con conseguente grave e consapevole ritardo nell’adozione di soluzioni tecniche atte a limitare e a contenere l’avvelenamento delle acque e l’inquinamento del suolo entro i confini della raffineria. Solo nella prima decade del luglio del 2007 veniva messa in funzione la prima pompa stimme della barriera idraulica che consentiva di emungere dalla falda il prodotto surnatante (al 27 febbraio del 2009 ben 690 mc) e contenere un’ulteriore espansione dell’inquinamento della falda sottostante l’area golenale al di fuori del sito Tamoil, specialmente nell’area sud ovest, esterna alla raffineria, denominata alveo ex Riglio, gravemente contaminata: il suolo fino a 10 metri di profondità si presentava fortemente inquinato per presenza di idrocarburi, benzene e piombo; le acque della falda superficiale ed intermedia risultavano non conformi ai parametri e concentrazioni di legge per contaminazione da idrocarburi totali, BTEX (benzene, toulene, etilbenzene e xilene), MTBE, ferro, vanadio, cadmio, piombo tetraetile, manganese, composti organici alogenati. In particolare, a seguito dei prelievi del 13 luglio del 2007, si accertava che presso le canottieri Bissolati, Flora, Cral Tamoil, Dopolavoro Ferroviario e Baldesio le acque destinate al consumo e all’utilizzo umano, pozzi dai 40 ai 140 metri, piscine e acqua del rubinetto della cucina presentavano parametri difformi quanto alla presenza di idrocarburi totali e metalli pesanti. Inoltre alla Bissolati il pozzo di 41 metri presentava una notevole concentrazione di benzene, sostanza altamente tossica per la salute umana”.

I soli Gilberti, Yammine e Abulaiha devono anche rispondere di disastro colposo per fatti accaduti a Cremona tra il maggio e il giugno del 2008. “In cooperazione colposa tra loro, non prevedendo, per imprudenza ed imperizia, la dispersione nell’ambiente di vapori esplosivi, non adottavano tempestivamente misure di sicurezza idonee ad aspirare i gas infiammabili sprigionatisi dal sottosuolo, gravemente contaminato per la presenza, nel suolo e nella falda superficiale, di idrocarburi, con conseguente grave e concreto pericolo di esplosioni che avrebbero messo a repentaglio la pubblica incolumità. In particolare, i rilievi effettuati dai vigili del fuoco registravano alla Bissolati la presenza di miscela infiammabile con elevate concentrazioni sia nei pozzetti dei sottoservizi, sia negli edifici adibiti a preparazione e consumazione pasti; alla canottieri Flora la presenza di miscela infiammabile con elevate concentrazioni all’interno dei pozzetti dell’impianto elettrico di terra nel parcheggio interno; nello spazio libero adiacente il Circolo Cral Tamoil e l’abitazione di Mario Manzia la presenza di miscela infiammabile con elevate concentrazioni in corrispondenza di un pozzetto dei sottoservizi elettrici, mentre al Circolo Cral Tamoil la presenza di vapori esplosivi in condotti di servizio e pozzetti d’ispezione; situazioni che imponevano all’autorità comunale l’adozione di ordinanze di divieto di accesso ai circoli ricreativi e il distacco cautelativo dell’energia elettrica per evitare che scintille elettriche potessero provocare esplosioni”.

PARTI CIVILI

Dopo la requisitoria del pm, ora spazio alle parti civili. Nel processo, celebrato con rito abbreviato davanti al giudice Guido Salvini, si sono costituiti parte civile tre soci della canottieri Flora e uno della Bissolati, tutti rappresentati dall’avvocato Vito Castelli, il Dopolavoro ferroviario (1.800 soci effettivi), rappresentato dall’avvocato Marcello Lattari, altri 26 soci della canottieri Bissolati, tra cui anche i radicali Sergio Ravelli ed Ermanno De Rosa, tutti assistiti dagli avvocati Gian Pietro e Monica Gennari, Claudio Tampelli e Vito Castelli, e Legambiente, attraverso l’avvocato di Milano Ilaria Ramoni. Parte civile è anche il cittadino cremonese Gino Ruggeri, tesoriere dell’Associazione Piero Welby, rappresentato dall’avvocato Alessio Romanelli, che, in base a quanto recita l’articolo 9 del testo unico degli enti locali, intende difendere gli interessi della collettività, vista la rinuncia del Comune di Cremona a costituirsi parte civile nel procedimento.

Per il 4 luglio è prevista la lettura della sentenza.

Sara Pizzorni

DICHIARAZIONE DEI RADICALI

Le circostanziate richieste di condanna formulate dal pubblico ministero Fabio Saponara nei confronti dei manager Tamoil costituiscono il giusto epilogo di una vicenda iniziata in sordina e sempre più silenziata nel tempo.
Pochi all’inizio credevano che un disastro ambientale di rilevanti dimensioni, che ha visto per anni e anni l’inerzia delle pubbliche amministrazioni istituzionalmente titolari del potere di controllo e di vigilanza, potesse essere affrontato così efficacemente dalla magistratura cremonese.
Fra quei pochi ci sono sempre stati i Radicali che fin da subito hanno sollecitato, pungolato, incoraggiato la magistratura a non lasciar cadere nel vuoto la ricerca della verità che tutti conoscevano, ma che nessuno voleva – chi per convenienza, chi per sudditanza e chi per connivenza – far emergere.
Abbiamo messo in campo tutte le iniziative possibili: sit-in, petizioni popolari, pubblici dibattiti, interrogazioni parlamentari ed infine l’azione popolare intrapresa con coraggio dall’esponente radicale Gino Ruggeri per sostituire in giudizio, come soggetto pubblico danneggiato, l’Amministrazione comunale, che sciaguratamente non ha avuto il coraggio e la lungimiranza di invertire la rotta.
Solo dall’azione civile intrapresa dai Radicali potranno quindi arrivare i giusti risarcimenti per i gravi danni arrecati ad una intera comunità.

Associazione radicale Piero Welby
il presidente
Sergio Ravelli

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© Riproduzione riservata
Caricamento prossimi articoli in corso...