Infortuni sul lavoro, sempre più difficile ottenere dall'Inail un risarcimento La denuncia di un medico cremonese
Sempre più numerosi i lavoratori che non si vedono riconoscere un risarcimento in seguito ad infortunio sul lavoro. Questa la denuncia di un medico di base cremonese, che ha inviato una missiva a Inal, Inps e al procuratore Di Martino, segnalando la vicenda di una sua paziente, operatore socio sanitario di 56 anni, che seppur in presenza di documenti che testimoniano il suo infortunio sul lavoro, non si vede riconoscere alcun risarcimento dall’Inail. Una vicenda avvenuta “sul lavoro alla presenza di testimoni, refertato dal Pronto Soccorso, da uno specialista ortopedico di struttura pubblica e da un radiologo della medesima struttura, da uno specialista convenzionato che ha poi provveduto all’intervento chirurgico e dal medico di Medicina Generale convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale” scrive il medico nella sua segnalazione, raccontando che la donna, “Dopo tre mesi dall’infortunio e dal decorso clinico post operatorio, si vede chiamata dall’Inail di Cremona per trasferire la pratica di infortunio all’Inps e conseguentemente ritenere e trattare economicamente l’infortunio come malattia”.
“La paziente che è la sola fonte di sostegno economico della famiglia, se non accetta questo passaggio non viene retribuita, come sta accadendo, ne dal datore di lavoro ne dall’Inail” spiega ancora il medico, che con rabbia e molta amarezza si preoccupa per una famiglia in difficoltà e “dei diritti acclarati che vengono calpestati continuamente”.
Anche protestare o cercar di far valere i propri diritti non è facile, come spiega ancora il medico. I passaggi possibili sono: collegiale medica Inail patronato (si vince al 1% e si perde al 99%); causa contro l’Inail (giudice del Lavoro) previa documentazione che attesti che non vi era nessun precedente patologico (cosa peraltro già documentata), la dinamica del trauma (evento traumatico esterno) anch’essa già documentata, attivazione di testimoni, rilettura degli esami diagnostici, la refertazione del chirurgo operante (già acclarato nella lettera di dimissione e ricertificata su richiesta della paziente).
“Mi viene naturale pensare che siamo di fronte ad una vera schifezza (l’onere della prova è a carico della “vittima”) – conclude il dottore -. Penso, da professionista, che forse sia utile a questo punto ripensare alla funzione dell’Inail e considerare un probabile miglior utilizzo delle risorse economiche e personali di tutta la comunità”.
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