Cronaca

Rissa del 18 gennaio, parla Casapound 'Gli scontri non partono mai da noi'

AGGIORNAMENTO ORE 15 – Sono stati disposti i domiciliari per Gianluca Galli, il responsabile di Casapound Cremona agli arresti dal 10 aprile con l’accusa di tentato omicidio e rissa per gli scontri con il csa Dordoni del 18 gennaio.

In mattinata era arrivato a Cremona, nella sede di via Geromini, il vicepresidente nazionale del movimento di estrema destra, Andrea Antonini  scortato dai blindati di Polizia e Carabinieri. “Si è data una lettura di quanto successo il 18 gennaio, come di una normale dialettica tra bande. Non è così, noi non siamo una banda, ci occupiamo d’altro, siamo un movimento politico con sedi in tutta Italia. I nostri militanti non aspirano a una poltrona, ma portano avanti dei valori in cui credono, fanno politica. Non troverete un solo episodio di  scontro che sia partito da noi, verso chi non la pensa come noi. Per noi i centri sociali non esistono, non ci interessano. C’è però una cosa che ci contraddistingue: noi non scappiamo e da questo punto di vista saremo sempre dei fuorilegge”.

Il leader di Casapound parla davanti al gruppo di giornalisti chiamati per ascoltare la ricostruzione dei fatti del 18 gennaio, che hanno portato dietro le sbarre il responsabile cremonese del movimento, Gianluca Galli, con l’accusa di tentato omicidio e rissa aggravata; e di una ventina di militanti. Accanto a lui  ci sono Diego Ratti, nome storico della destra cremonese (già segretario provinciale del Msi) e Omar Oneta, che regge le sorti del movimento in assenza del responsabile Gianluca Galli, ancora agli arresti. “Ci sono precise responsabilità istituzionali in queste vicende. – aggiunge – Vicende iniziate molto tempo fa, a cominciare da quando venne aperta la sede di Casapound e in concomitanza si svolse una manifestazione antifascista con persone travisate. Allora venne lanciato un chiaro messaggio mafioso alle istituzioni: ‘Se non li fate chiudere, noi creeremo un sacco di problemi’. E poi c’è l’episodio del 17 marzo 2013, quando tre nostri militanti vennero aggrediti dopo che avevamo organizzato una conferenza sui marò. Nessuna reazione da parte delle istituzioni, nessuna indagine che ci risulti, però i nostri militanti finirono all’ospedale”.

Casapound conferma la ricostruzione di quanto successo il 18 gennaio fatta da parte degli inquirenti. “Emerge – afferma Antonini  – che la ricostruzione del centro sociale a cui la stampa ha dato spazio è falsa. Sono state dette affermazioni false a cui la stampa ha dato credito”. Il riferimento è alla presunta aggressione che gli antagonisti hanno detto di aver subito, ipotesi ribaltata dall’ordinanza di custodia cautelare che ha spedito in carcere 16 esponenti di entrambe le parti.

Antonini si sofferma quindi sulle accuse di cui devono rispondere Galli e Taietti, ossia il tentato omicidio. “Tutto ciò è contrario al naturale diritto che ha chiunque di difendersi se aggredito – dice Antonini -. Perché questo è quanto accaduto: i nostri ragazzi hanno difeso sé stessi e gli altri. Per questo mi auguro che l’accusa di tentato omicidio venga derubricata il prima possibile in rissa”.

Per quanto riguarda Galli, “è in attesa che decidono in merito alla sua scarcerazione, che siamo convinti dovrebbe essere imminente. Lui è sereno, conspevole di quanto accaduto, come ha ribadito anche agli inquirenti nell’ultimo interrogatorio, senza mai cambiare la propria versione dei fatti. E’ sereno e attende che l’iniquo provvedimento venga revocato e sostituito con misure di detenzione più lievi”.

CasaPound ha poi spiegato la vicenda della chiusura della sede, subito dopo i fatti del 18 gennaio. “E’ stata una misura voluta dalla Questura per attenuare la rabbia degli avversari, con la nostra collaborazione, frutto di una presa di responsabilità – spiega Ratti -. Poi da parte della proprietaria c’è stata la richiesta di farci disdire il contratto di affitto, dopo che aveva ricevuto telefonate intimidatorie del corso della notte, ma abbiamo rifiutato di andarcene. Il cartello con su scritto “vendesi” è invece reale, perché davvero i proprietari intendono vendere lo stabile. Ma noi restiamo, perché nessuno può farci chiudere gli spazi politici con minacce mafiose”.

Giuliana Biagi
Laura Bosio

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