Cronaca

Violenza sessuale, per don Inzoli chiesto il rinvio a giudizio

Il procuratore della Repubblica di Cremona Roberto di Martino ha chiesto il rinvio a giudizio per don Mauro Inzoli, 65 anni, il carismatico prete cremasco già invitato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede a condurre una “vita di preghiera e di umile riservatezza, come segni di conversione e di penitenza”. Le accuse sono pesantissime: violenza sessuale con abuso di autorità e violenza sessuale aggravata per abuso di minori di 12 anni. Prima di arrivare alla richiesta di rinvio a giudizio era stata avanzata una proposta di patteggiamento non formalizzata alla quale però la procura ha detto di no. Ora nei confronti del don, soprannominato “don Mercedes” per la sua passione per le auto di lusso, sarà fissata la data dell’udienza preliminare davanti al gup. Rischia una pena fino a 12 anni di reclusione. Il procuratore non ha mai ritenuto di doverlo sentire, né dalla parte della difesa c’è mai stata richiesta di essere interrogato.

Numerosi i casi di presunti abusi sessuali dei quali don Inzoli sarebbe stato protagonista. Quindici sono caduti perché già finiti in prescrizione, mentre per altri otto episodi, di cui quattro in continuazione riferiti ad una pluralità di situazioni, è ancora possibile procedere penalmente. I fatti sarebbero accaduti tra il 2004 e il 2008. Cinque le persone offese, tra cui un ragazzino all’epoca di soli 12 anni e un altro di 13. Sono gli episodi più gravi in quanto commessi ai danni di minori di 14 anni. Le altre presunte vittime hanno tra i 14 e i 16 anni. I ragazzini sarebbero stati abusati sia nello studio del don in oratorio, sia (si parla di tre casi) nelle località di vacanza dove i gruppi giovanili erano soliti spostarsi.

A don Inzoli si contesta l’abuso di autorità in quanto nei periodi dei presunti abusi ricopriva i ruoli di rettore al liceo linguistico Shakespeare e parroco della chiesa della Santissima Trinità di Crema a cui faceva capo il gruppo Gioventù studentesca. Don Inzoli è stato anche presidente del Banco Alimentare ed ex leader di Comunione e Liberazione, movimento a cui tutte le famiglie delle presunte vittime erano aderenti.

I ragazzi frequentavano l’oratorio per i perfezionamenti spirituali che svolgevano con don Inzoli. Secondo l’accusa, gli abusi si sarebbero consumati nello studio del don, dove i ragazzi entravano singolarmente. Per la procura, ci sarebbero stati da parte del prete, baci, carezze, abbracci, toccamenti nelle parti intime e masturbazioni. Tutte le presunte vittime avrebbero raccontato di una loro fortissima sottomissione psicologica davanti a don Mauro: in sostanza, sarebbero rimasti allibiti, ma non avrebbero avuto la forza di reagire. Uno dei giovani ha raccontato che per i genitori don Inzoli era un “idolo meritevole di venerazione”.

A mettere in moto l’inchiesta giudiziaria era stato un esposto presentato da Franco Bordo, parlamentare cremasco di Sel, seguito da una denuncia del presidente di un istituto religioso. Lo scandalo era scoppiato il 9 dicembre del 2012, quando il sito della curia cremasca aveva pubblicato la decisione del Vaticano di ridurre don Mauro allo stato laicale, un provvedimento contro cui il sacerdote aveva fatto ricorso nel febbraio del 2013. Il 12 giugno dell’anno successivo la Congregazione della Dottrina della Fede aveva trasmesso al vescovo di Crema il decreto che infliggeva a don Inzoli una “pena medicinale perpetua”.

In sostanza, responsabilità riconosciuta, ma don Mauro poteva conservare tecnicamente lo status di prete. Così, “in considerazione della gravità dei comportamenti e del conseguente scandalo provocato da abusi su minori”, don Inzoli era stato “invitato ad una vita di preghiera e di umile riservatezza, come segni di conversione e penitenza”. Il sacerdote di Comunione e Liberazione non può quindi “celebrare e concelebrare in pubblico l’eucaristia e gli altri sacramenti, né predicare, ma solo celebrare l’eucaristia privatamente”. L’ex Sant’Uffizio ha disposto inoltre il divieto di contatto con i minori, così come l’impossibilità di “dimorare nella diocesi di Crema, entrarvi e svolgere in essa qualsiasi atto ministeriale”.

Durante le delicate indagini, gli agenti della squadra mobile di Cremona hanno sentito molte persone. Il procuratore ha voluto portare avanti l’inchiesta penale anche senza la collaborazione del Vaticano, che aveva negato la rogatoria chiesta per conoscere gli atti inerenti i casi di abusi. La Santa Sede aveva apposto ai carteggi richiesti dalla giustizia italiana il “sub secreto pontificio”, una sorta di segreto di Stato che viene imposto ai destinatari su materie di particolare gravità.

Sara Pizzorni

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