Agroalimentare, a Cremona l'export cresce del 6% con un valore di 500 milioni di euro
L'agroalimentare cremonese cresce sui mercati stranieri e sfiorerà a livello tendenziale i 500 milioni di euro di valore a fine anno, con un aumento di oltre il 6% rispetto al 2014.
L’agroalimentare cremonese cresce sui mercati stranieri e sfiorerà a livello tendenziale i 500 milioni di euro di valore a fine anno, con un aumento di oltre il 6% rispetto al 2014. Il tema dell’export è stato al centro dell’incontro svoltosi in mattinata al teatro Ponchielli di Cremona con il mondo agricolo locale e nazionale.
Le destinazioni principali sono il nord Europa, Emirati Arabi, gli Stati Uniti e l’America Latina grazie, fra gli altri, al pomodoro da salsa, al mais nero (richiesto anche ai Caraibi sotto forma di farina) e ai formaggi. Il settore lattiero caseario cremonese nel primo semestre 2015 ha superato i 78 milioni di export rispetto ai 73 milioni del primo semestre 2014, con una crescita di quasi il 7%, contro il +6% di tutto il settore agroalimentare cremonese nello stesso periodo.
“I prodotti lattiero caseari – spiega Paolo Voltini, presidente di Coldiretti Cremona – valgono più di un terzo di tutto l’export agroalimentare provinciale, un dato che conferma la centralità del sistema zootecnico nella tenuta economica dei nostri territori, oltre che dell’intera Lombardia dove il 42% di tutto il latte serve a prodotti Dop campioni del Made in Italy all’estero come ad esempio il Grana Padano”. Infatti proprio il Grana Padano ha registrato una crescita delle esportazioni di quasi il 10% nei primi sei mesi di quest’anno, dopo aver già registrato un +4,5% fra il 2013 e il 2014, con due forme su tre vendute nei Paesi dell’Unione Europea. La Germania è il primo mercato, poi gli Usa e la Svizzera. Mentre l’aumento più significativo dell’export, pari al 29%, si è registrato in Spagna, al nono posto tra i Paesi importatori con 58.702 forme, davanti all’Australia, salita oltre le 40mila forme importate.
La produzione del Grana Padano nei primi nove mesi del 2015 è stata di 3.658.373 forme, in calo tendenziale rispetto al 2014 quando la produzione annua era stata di 4.840.019 forme. A fare la parte del leone le province di Mantova e Brescia, rispettivamente con 1.392.299 e 1.040.213 forme, a seguire Cremona con 792.288 forme e Piacenza con 544.339.
Guardando ad una scala più ampia, l’export regionale toccherà i 5 miliardi e 700 milioni di euro a fine 2015, con un aumento di circa il 24% negli ultimi cinque anni. Nel primo semestre 2015 – ha mostrato l’elaborazione di Coldiretti Lombardia su dati Istat – le esportazioni regionali hanno superato i 2 miliardi e 775 milioni, in crescita di 35 milioni rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Solo il settore vino vale 255 milioni di euro di export.
“Le vendite all’estero dei nostri tesori enogastronomici – spiega Ettore Prandini, Presidente di Coldiretti Lombardia – rappresentano oltre il 41% del valore dell’intera produzione agroalimentare della regione e sono la testimonianza più diretta dell’apprezzamento del Made in Italy sui mercati stranieri. Un Made in Italy ricercato per la qualità, la sicurezza e la capacità di raccontare e rappresentare un legame con il territorio che nasce proprio dall’utilizzo di materie prime che dal quel territorio nascono”. A livello nazionale le esportazioni alimentari nel 2015 toccheranno il valore record di 36 miliardi di euro.
Mentre in controtendenza rispetto all’andamento generale nei primi 10 mesi del 2015, a livello nazionale crollano del 27,5 per cento le esportazioni di prodotti Made in Italy in Russia per effetto dell’embargo che ha sancito a partire dal 6 agosto 2014 il divieto all’ingresso per frutta e verdura, formaggi, carne e salumi ma anche pesce, oltre a tessuti, arredamento e mezzi di trasporto. Nell’agroalimentare – sostiene la Coldiretti – ai danni diretti stimati in 20 milioni di euro al mese di mancate esportazioni si sommano anche i danni indiretti dovuti alla perdita di immagine e di mercato provocata dalla diffusione in Russia di prodotti di imitazione che non hanno nulla a che fare con il Made in Italy.
Infatti lo stop alle importazioni dall’Italia ha provocato in Russia un vero boom nella produzione locale di prodotti Made in Italy taroccati, dai salumi ai formaggi con la produzioni casearia russa di formaggio che nei primi quattro mesi del 2015 ha registrato un aumento del 30% e riguarda anche imitazioni di mozzarella, robiola o Parmesan.
Intanto negli Stati Uniti il 99 per cento dei formaggi di tipo italiano sono “tarocchi” nonostante il nome richiami in modo esplicito le specialità casearie più note, comprese quelle lombarde: dal Grana Padano al Gorgonzola, dalla Mozzarella alla Ricotta, dal Provolone all’Asiago, dal Pecorino Romano. La produzione di imitazioni dei formaggi italiani – sottolinea la Coldiretti – nel 2014 ha raggiunto negli Usa il quantitativo record di quasi 2228 milioni di chili, con una crescita esponenziale negli ultimi 30 anni, tanto da aver superato addirittura la stessa produzione di formaggi americani come Cheddar, Colby, Monterrey e Jack che è risultata nello stesso anno pari a 2040 milioni di chili.
Tra i formaggi italiani Made in Usa più gettonati – rileva la Coldiretti – ci sono la mozzarella (79 per cento), il Provolone (7 per cento) e il Parmesan (6 per cento), con quasi 2/3 della produzione realizzata in California e Wisconsin mentre lo Stato di New York si colloca al terzo posto. Con il nome Parmesan si fa quindi concorrenza sia al Parmigiano che al Grana Padano, formaggi tipici della tradizione casearia della Pianura Padana.
Se i nomi sono gli stessi le caratteristiche sono profondamente differenti perché i formaggi Made in Italy originali devono rispettare rigidi disciplinari di produzione con regole per l’allevamento, la trasformazione e i controlli. Nel 2014 ci sono state 45 verifiche su siti di e-commerce che offrivano Grana Padano a prezzi fuori mercato, mentre hanno sfiorato quota 2.700 le ispezioni compiute all’estero
Se gli Stati Uniti sono i “leader” della falsificazione, le imitazioni dei formaggi italiani sono molto diffuse dall’Australia al Sud America, ma anche sul mercato europeo e nei Paesi emergenti, dove spesso il falso è arrivato prima delle produzioni originali. A questa realtà – conclude la Coldiretti – si aggiunge l’italian sounding di matrice italiana, che importa materia prima dall’estero, la trasforma e ne ricava prodotti che successivamente vende come italiani senza lasciare traccia, attraverso un meccanismo di dumping che danneggia e incrina il vero Made in Italy, perché non esiste ancora per tutti gli alimenti l‘obbligo di indicare la provenienza in etichetta.