Cronaca

Rivedere regole affidi Da una storia vera ordine del giorno di Ceraso

Una storia lunga e difficile quella di una famiglia affidataria cremonese, che si  è trovata a combattere per i diritti del bambino che aveva preso in affido e per una situazione in cui probabilmente c’è stata qualche mancanza da parte degli attori coinvolti.  Proprio da questa storia parte l’ordine del giorno del consigliere comunale Maria Vittoria Ceraso (Obiettivo Cremona), emendato dalle forze di maggioranza (modifiche illustrate dalla consigliera Lia a Beccara del Pd e da Alessio Antonioli, Fare Nuova la Città) e votato oggi all’unanimità dal consiglio comunale, sul tema del diritto alla continuità affettiva per bambini e bambine dati in affido prima di essere adottati o di tornare alla propria famiglia d’origine. In pratica il testo chiede che il Comune si attivi per rendere noti i nuovi termini previsti da una recente legge sugli affidi, incentrata su un maggior rispetto del tema della continuità affettiva. Negli interventi di Giovanni Gagliardi e Paolo Carletti è stata messa in evidenza la necessità di una stretta collaborazione tra servizi sociali del comune e magistratura (Tribunale dei Minori) in tema di passaggio da status di affido a quello di adozione.

LA VICENDA – Tutto è partito con un affido che sarebbe dovuto durare due settimane e che invece si è prolungato fino a 20 mesi. L’amarezza da parte dei genitori affidatari, che chiameremo Rossi per questioni di privacy, per una situazione che alla fine è stata soprattutto dannosa per il piccolo Francesco (nome di fantasia, ndr).

“Noi abbiamo chiesto questo ordine del giorno perché vorremmo che quanto accaduto a noi fosse da esempio affinché non capiti ad altre persone” racconta la madre affidataria, membro di un’associazione che si occupa proprio di affidi. Il bambino è arrivato nella famiglia Rossi all’età di sei mesi e se ne è andato quando ormai aveva quasi due anni. Alla famiglia, che si appoggia all’associazione Anfaa di Torino, è stato chiesto inizialmente di prolungare il periodo di affido, fino a sei mesi (che sarebbe il massimo tempo per un affido). Tuttavia la lunghezza dei tempi della giustizia ha fatto sì che il decreto di adottabilità da parte del tribunale tardasse ad arrivare. Insomma, la proroga è continuata per mesi e mesi. “In tutto questo tempo, da parte dei servizi sociali del Comune non abbiamo avuto riscontri. In 20 mesi siamo riusciti a parlare una sola volta con una assistente sociale, mentre a fare da tramite era normalmente una educatrice. Nel frattempo ci hanno detto che il servizio affidi era stato smantellato e che era passato direttamente sotto la competenza dei servizi sociali. Ci mancava un punto di riferimento”.

Nel frattempo una serie di vicissitudini hanno fatto tardare ulteriormente il provvedimento riguardo all’adozione del bambino. E quando finalmente il decreto di adottabilità è arrivato, la famiglia affidataria si è resa conto che il bambino si era affezionato alla famiglia come se fossa la sua. “Per questo abbiamo chiesto al tribunale di fare un passaggio graduale, da noi alla nuova famiglia”. I Rossi si sono avvalsi della collaborazione di Anfaa, che sulla vicenda ha scritto una propria nota.

“Nel mese di ottobre 2015 abbiamo condiviso con la famiglia Rossi la gioia per la notizia della sentenza della dichiarazione dello stato di adottabilità di Francesco emessa dal Tribunale per i minorenni di Brescia” scrive l’associazione. “Insieme alla famiglia affidataria, negli ultimi mesi, più volte ci eravamo rivolti alle istituzioni competenti per fare in modo che a Francesco fosse garantito al più presto l’inserimento nella famiglia adottiva, anche in considerazione che gli affidatari, avendo dato una disponibilità per un affido di pronto intervento, non avevano preso in considerazione la sua adozione”.

Ma la gradualità che era stata richiesta è mancata. “Francesco in soli sette giorni ha conosciuto ed è andato a vivere con i genitori adottivi” scrive ancora Anfa. “Un passaggio che abbiamo ritenuto inadeguato e non rispondente alle esigenze e ai tempi di Francesco. Purtroppo il nostro appello e la nostra richiesta di incontro con il Tribunale, il tutore del piccolo ed i Servizi coinvolti sono stati completamente ignorati”.

Durante quei sette giorni solo un’educatrice ha seguito gli incontri in luogo “neutro” tra il bambino, la famiglia affidataria e quella adottiva. “Durante quei sette giorni nessun operatore, né dell’equipe adozione né dell’equipe affido, ha mai contattato la famiglia affidataria per avere un riscontro su come stesse Francesco dopo gli incontri in luogo neutro” fa sapere ancora Anfaa. “Durante quei sette giorni nessun operatore ha dato indicazioni alla famiglia affidataria sul come accompagnare Francesco, sul come organizzare e gestire il momento del saluto da parte dei genitori affidatari come dei 4 fratelli affidatari. Francesco ha salutato la sua famiglia affidataria il 17 novembre”.

E da quel momento, nessuno ha più contattato la famiglia Rossi, che avrebbe voluto mantenere i rapporti con questo bambino, che si era comunque molto legato a loro. “Nessun operatore, né dell’equipe affido né dell’equipe adozione, ha contattato la famiglia affidataria per organizzare e pianificare la modalità del mantenimento dei rapporti con Francesco, al fine di tutelare la continuità degli affetti che oggi, per fortuna, una legge prevede” spiega ancora la nota Anfaa.

Il timore da parte dei Rossi, come raccontano loro stessi, è che Francesco “abbia vissuto questa brusca e affrettata interruzione dei nostri legami affettivi come un tradimento e un abbandono da parte nostra”.

“L’educatrice che ha seguito la fase di passaggio, a titolo personale e volontario, come da lei stessa dichiarato, si è resa disponibile a fare da tramite tra le due famiglie, per cui alla famiglia Rossi sono arrivate sporadiche notizie su Francesco. Ma questa non è continuità” continua Anfaa. “La Legge 173/2015, entrata in vigore il 13 novembre 2015, all’articolo 3 prevede che «qualora, a seguito di un periodo di affidamento, il minore faccia ritorno nella famiglia di origine o sia dato in affidamento ad altra famiglia o sia adottato da altra famiglia, è comunque tutelata, se rispondente all’interesse del minore, la continuità delle positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l’affidamento». Rinnoviamo con forza la richiesta di un urgente intervento dell’Autorità Giudiziaria minorile e del Garante per l’Infanzia, per far sì che dalla memoria di Francesco non venga cancellata la positiva esperienza di affido e le persone che l’hanno accompagnata (non ci sono solo gli adulti, ma anche i quattro figli degli affidatari che per Francesco sono stati moto importanti!)”.

L’ORDINE DEL GIORNO – Proprio da questa legge parte l’ordine del giorno del consigliere Ceraso, che chiede al consiglio comunale e alla giunta di “recepire il disposto della legge 19 ottobre 2015, n. 173 sul diritto alla continuità affettiva delle bambine e dei bambini in affido familiare nelle Convenzioni e nei Protocolli in essere tra il Comune di Cremona e gli altri soggetti pubblici e privati del territorio”.

Affinché non si verifichino più situazioni come quella di Francesco, si chiede anche di “avviare presso il “Tavolo Inter-distrettuale affido e solidarietà familiare” e nelle altre sedi competenti un urgente confronto tra i Servizi pubblici e privati del territorio in relazione alla delicata fase di passaggio del minore dalla famiglia affidataria alla famiglia d’origine o adottiva, in attuazione a quanto disposto dalla legge 19 ottobre 2015, n. 173 sulla gradualità e continuità degli affetti al fine di: individuare principi teorici e criteri di riferimento comuni; delineare un percorso condiviso da tutte le istituzioni ed i soggetti interessati, in termini di metodo e di contenuto; rendere per quanto possibile omogenee le prassi operative adottate sul territorio provinciale; farsi promotori presso la Regione Lombardia affinché possa deliberare, d’intesa con le Autorità giudiziarie minorili, indicazioni operative per i servizi sociali e sanitari al fine di individuare, in attuazione a quanto previsto dalla recente legge n. 173/2015, delle buone prassi, nel rispetto delle specificità territoriali e dell’autonomia professionale degli operatori”.

Infine si chiede di “convocare la Commissione Welfare per un momento di condivisione e di approfondimento sulla tematica dell’affido rispetto all’esperienza specifica del Comune di Cremona, all’organizzazione del Centro Affidi, ai Progetti, Convenzioni e Protocolli in essere, alle criticità eventualmente riscontrabili nell’attuazione degli stessi. Si auspica che il principio della salvaguardia della continuità del legame, sia effettivamente e largamente condiviso dalla comunità professionale e scientifica degli operatori sociali e sanitari, entrando a far parte della “cultura” dei Servizi per poter poi essere tradotto e sostanziato nella gestione del caso, al fine di garantire una certa uniformità sul territorio. Appare, infine, fondamentale ribadire la centralità del superiore interesse del minore in riferimento alle scelte ed agli interventi che i Servizi e le istituzioni sono chiamati a compiere e ad attuare nella loro quotidianità operativa”.

“Il nostro intento non è quello di fare polemica con il Comune, ma solo di far capire cosa non funziona e chiedere che le prassi vengano migliorate, perché non capitino ad altre persone quanto già capitato a noi” concludono i Rossi.

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