Prosciugò il conto della fidanzata. Sedicente nipote del cardinale condannato
Truffa: imputato condannato ad un anno e sei mesi di reclusione e ad una multa di 900 euro. Sospensione della pena subordinata al pagamento di 30.000 euro di provvisionale. Il resto dei danni sarà da liquidarsi in un separato giudizio civile.
Si era spacciato per il nipote del cardinal Camillo Ruini, diceva di essere intimo amico del cardinal Ersilio Tonini, di avere uno zio facoltoso a Montecarlo e di possedere 35 appartamenti. In realtà era disoccupato e non possedeva alcuna proprietà. Il suo vero obiettivo era quello di far innamorare la sua ‘vittima’ per poi indurla a fargli importanti elargizioni di denaro, pagamenti con carta di credito, investimenti in titoli, e a sottoporla psicologicamente al suo volere, soggiogandola e riducendola in un totale stato di soggezione al quale lei non era in grado di reagire per paura di perderlo.
Truffa, per il giudice Francesco Sora, che ha condannato l’imputato Maurizio D’Alberto, 51 anni, nato ad Orte, in provincia di Viterbo, ad una pena di un anno e sei mesi di reclusione e ad una multa di 900 euro, subordinando la sospensione della pena al pagamento di 30.000 euro di provvisionale. Il resto dei danni sarà da liquidarsi in un separato giudizio civile. L’imputato, che a processo non si è mai presentato, dovrà anche accollarsi 3.420 euro di spese di parte civile. Per il 51enne, il pm onorario Silvia Manfredi aveva chiesto una pena più bassa: un anno e 800 euro di multa.
Per 18 mesi, Maurizio D’Alberto aveva convissuto con Maria (nome di fantasia), una 40enne cremonese che contro di lui si è costituita parte civile attraverso l’avvocato Luca Curatti. La coppia si era conosciuta a Milano Marittima. Lei era appena uscita da una delusione amorosa ed era sentimentalmente vulnerabile. Secondo l’accusa, lui ne aveva approfittato. Alla donna, D’Alberto si era presentato come originario di Bologna, una brava persona, di famiglia nobile, con importanti parentele, in possesso di numerose proprietà, conti correnti e svariati titoli finanziari del valore di due milioni e 600 mila euro.
Nel settembre del 2011 la coppia era andata a convivere nell’abitazione di lei e ai primi di novembre di quello stesso anno era stato acceso un conto corrente cointestato sul quale l’imputato aveva versato 18.000 euro, gli unici soldi versati da lui, e parte dei quali, secondo l’accusa, prestiti che gli erano già stati concessi da Maria, che su quel conto aveva messo anche la sua buona uscita di 140.000 euro ricevuta dai genitori per la vendita dell’azienda di famiglia. Vani i continui inviti dei genitori di lei di lasciarlo. “In 18 mesi”, aveva raccontato in aula la mamma di Maria, “lui ha speso 300.000 euro. Tutti i giorni andava a prelevare 250 euro. Quando poi è partito, si è preso anche la macchina comprata con i soldi di mia figlia”.
“Quasi una vicenda che potrebbe suscitare una certa ironia condita ad elementi un po’ suggestivi che potrebbero risultare ridicoli”, ha detto nelle sue conclusioni l’avvocato Curatti. “Appartamenti sparsi in tutte le località più belle, milioni di euro di proprietà dell’imputato e gestiti da un promotore finanziario, e invece la realtà è che non ci sono denari e che non ce ne sono mai stati”. “Cardinali, conoscenze e bella vita”, ha continuato il legale, “ma era tutto un millantare, e quindi alla fine si sorride poco perché non è piacevole per una famiglia vedere in cosa sia incappata la figlia. Quelli accaduti sono fatti molto gravi. La mia cliente si è innamorata di una persona che le prometteva di mettere su famiglia e di condurre una vita agiata, ma poi tutto è crollato in modo pesante. Lui le chiedeva assegni sulla base di presunte problematiche economiche e sul fatto che le avrebbe restituito tutto. Si è poi piazzato in casa di lei approfittando del suo stato di soggezione, facendole pressioni psicologiche e obbligandola ad assecondare le sue necessità che diventavano sempre più pressanti. Lei viene da una famiglia di imprenditori e lui ci ha visto un’occasione”. “Poi si è inventato qualcosa per rinvigorire il rapporto”, ha detto ancora l’avvocato, “le diceva che si rendeva conto della difficoltà per lei di affrontare le spese, che le avrebbe ridato tutto, che la amava davvero. Andava avanti a spron battuto, e se non era assecondato si arrabbiava e minacciava. Lui aveva utilizzato il bancomat di lei e aveva speso 8.740 euro in abbigliamento, nel dicembre del 2011 si era comprato un Rolex Daytona, e poi altre spese che hanno portato ad un dissesto economico e anche psicologico della mia cliente e della sua famiglia. Una botta forte. Alla fine, però, il suo sistema estorsivo ha cominciato a scricchiolare, spingendolo a svuotare tutto e ad andarsene”.
Per l’avvocato difensore dell’imputato, invece, il reato di truffa non c’è. “Si potrebbe trattare”, ha detto il legale, “di una questione civilistica”. “I prestiti ci sono stati”, ha ammesso la difesa, “ma lui non l’ha costretta a fare nulla: nessun acquisto o nessuna vacanza dispendiosa. Non è stato solo lui a voler fare una vita sopra le righe”.
L’imputato, invece, è stato ritenuto colpevole. La motivazione della sentenza di condanna sarà depositata entro 90 giorni.
Sara Pizzorni