Cronaca

L'OSPITE - Il referendum del 22 ottobre? Probabilmente inutile

di ANTONINO RIZZO, avvocato

Il 22 ottobre, gli elettori lombardi sono chiamati a votare in un referendum regionale. Nel linguaggio politico e giornalistico viene definito il referendum sull’autonomia. Analogo referendum si tiene, nello stesso giorno, nel Veneto.  Qualcuno potrebbe pensare ad un referendum simile a quello tenuto anni fa in Scozia e molto recentemente in Catalogna, quest’ultimo con effetti nefasti. Ma sarebbe in errore.
Il quesito al quale si deve rispondere è il seguente: “Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”
Si tratta di un referendum consultivo, previsto dall’art. 52, primo comma, dello Statuto regionale: “Il Consiglio regionale, a maggioranza dei due terzi dei componenti può deliberare l’indizione di referendum consultivi su questioni di interesse regionale, o su provvedimenti interessanti popolazioni determinate”.
Evitando i tecnicismi propri di ogni quesito referendario, si tratta di vedere il significato, anche giuridico, di questo referendum.
Il riferimento normativo contenuto nel quesito è all’art. 116 della Costituzione.
Tale articolo, dopo aver previsto le Regioni a statuto speciale (Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta) e le Province autonome di Trento e Bolzano, il cui statuto di autonomia è garantito da leggi costituzionali, contiene la seguente ulteriore disposizione: “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”.
In altri termini, gli elettori devono dire se concordano sul fatto che la Lombardia chieda allo Stato qualche ulteriore forma di autonomia, senza che si specifichi quale.
La previsione di ulteriori forme di autonomia è stata introdotta nel 2001, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione (la parte della Costituzione, cioè, che riguarda Regioni, Province e Comuni).
La norma si rivolge alle Regioni ordinarie e non a quelle a statuto speciale. In tal modo si andrebbero a creare regimi semidifferenziati, e cioè Regioni ordinarie dotate di forme particolari di autonomia. Perchè possano essere introdotte queste forme ulteriori di autonomia, non serve una legge costituzionale, ma una legge ordinaria rinforzata (approvata a maggioranza assoluta dai componenti di entrambe le Camere e preceduta da un’intesa – che non è un parere – con la Regione interessata).
In concreto, dal 2001, mai nessuna ulteriore forma di autonomia è stata introdotta.
Stando così le cose non è assolutamente detto che il referendum (nel caso, facilmente prevedibile, di vittoria dei sì) comporti effettivamente l’introduzione di ulteriori forme di autonomia per la Lombardia.
Pertanto, chi afferma che la vittoria dei sì darà alla Lombardia (e a Cremona) sicurezza, sviluppo e lavoro, compie una palese mistificazione.
Le magnifiche sorti e progressive, per citare il Leopardi, non stanno certo in questo referendum.
Io non sono sicuramente contrario alle autonomie.
Anzi, la mia cultura politica, che viene da Sturzo, è fondata sul principio autonomistico.
Così pure, uno degli studiosi di diritto pubblico che maggiormente apprezzo, Livio Paladin, era un acceso regionalista.
E mi piace immaginare, in prospettiva, una Europa delle regioni, nell’ambito di uno Stato federale. Il modello di autonomia che mi pare più consono alle esigenze del nostro paese è quello della Provincia autonoma di Trento. Sono invece diffidente nei confronti di un regionalismo a geometria variabile, che è sì previsto dalla Costituzione, ma potrebbe innescare rivalità fra le Regioni, con livelli differenziati di servizi nei confronti dei cittadini.
Da parte dei sostenitori del sì, si afferma che, in ogni caso, il referendum sarebbe espressione della sovranità popolare. Peccato che fra costoro vi siano parecchi di quanti, lo scorso anno, sostenevano l’astensione nel referendum sulle trivelle. Un referendum certamente molto settoriale, ma anche molto concreto, che fallì per il mancato raggiungimento del quorum.
C’è da sperare che gli elettori abbiano la memoria lunga e comincino a diffidare dei politici le cui chiacchiere cambiano a seconda delle circostanze.
Questo referendum è solo un manifesto politico, e, qualunque ne possa essere l’esito, sia con riferimento all’affluenza che alla percentuale dei sì, avrà scarsissima rilevanza concreta.

 

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