Le famiglie che ospitavano i bimbi di
Chernobyl: "Senza medicine sarà la fine"

Gli echi della guerra stanno destabilizzando un po’ tutti, ma c’è chi vive questi giorni con maggiore angoscia, anche se a migliaia di Km di distanza, perchè conosce di persona i luoghi e le persone su cui stanno cadendo le bombe. Giuliano Mezzadri è uno dei volontari dell’associazione Cremona for Chernobyl che per tutti gli anni Novanta e oltre hanno ospitato i bambini colpiti dalle radiazioni della centrale nucleare, per periodi di vacanze terapeutiche.
In questo caso però la vicinanza a bielorussi e ucraini non si è limitata all’ospitalità nei tre mesi estivi, ma si è tradotta anche nella fornitura di medicinali e di aiuti concreti agli ospedali che curavano questi bambini. Un’attività che è sempre andata avanti, resa più difficoltosa dalla pandemia, e oggi diventata quasi impossibile a causa della guerra.
La rete di contatti negli anni si è estesa, ma era partita dall’ospedale di Minsk, in Bielorussia, dove dal 1999 Giuliano recapitava medicinali dall’Italia. “Poi con Lukashenko è diventato tutto più difficile e adesso impossibile”. In questi giorni tragici sta ricevendo richieste di aiuto anche da parte di genitori ucraini con figli ricoverati nell’ospedale pediatrico Ohmatdyt di Kiev. In parte i piccoli pazienti sono stati evacuati in Polonia in parte sono trasferiti nei sotterranei, per stare più al sicuro. Ma manca di tutto.
“L’ultima richiesta mi è arrivata ieri pomeriggio”, ci racconta Giuliano al telefono. “Viene da Oksana, la mamma di una bimba ricoverata, è disperata, serve un medicinale, il Cymevene, che non hanno più. Il marito fa il pompiere e lavora a Chernobyl. Le hanno detto che adesso non c’è più pericolo, ma chissà se è vero …”
Chernobyl, appunto. Per oltre 10 anni i Mezzadri hanno ospitato Katerina, originaria di Dobrush nella regione di Gomel, 80 km circa da Chernobyl. E Gomel è la città dove si è svolto il primo incontro tra la delegazione ucraina e quella russa che avrebbe dovuto innescare una trattativa per il cessate il fuoco, a 20 km dal confine ucraino.
Katerina, la “bielocremonese” come la chiamano affettuosamente, ora è sposata, ha 30 anni e una figlia di 4, e vive a San Pietroburgo. Ma nei giorni dello scoppio della guerra si trovava a casa della madre, in Bielorussia e da lì non si è più mossa. “Veniva ancora una volta all’anno a Cremona; in questi giorni ci scrive sempre, ma preferisce non telefonare, ha paura. Dice che la guerra è scoppiata inaspettata, nessuno avrebbe detto che sarebbe successa. Sente ogni giorno passare sopra la loro testa aerei ed elicotteri… Non si riesce a dormire, mai avrebbe immaginato che il suo popolo sarebbe stato coinvolto in una guerra”.
Nell’album dei ricordi di Giuliano c’è una fotografia: risale al 2019, a uno degli ultimi viaggi in Bielorussia: una macchina stipata di valigie, due violini da Cremona da regalare ai bambini dell’ospedale, in memoria di una ragazzina morta a 17 anni. Accanto c’è una bambina bionda: Alyanka, 3 interventi al cuore nei primi mesi di vita e poi a 4 anni la leucemia.
Sono immagini di un passato recente che seppure nella tristezza della malattia, trasmettono pace; quella pace che oggi non c’è più. gbiagi