Cronaca

Le famiglie che ospitavano i bimbi di
Chernobyl: "Senza medicine sarà la fine"

A sinistra, uno dei viaggi in Bileorussa di Giuliano Mezzadri (2019); a destra il sotterraneo dell'ospedale pediatrico di Kiev, da dove arriva la richiesta di medicinali

Gli echi della guerra stanno destabilizzando un po’ tutti, ma c’è chi vive questi giorni con maggiore angoscia, anche se a migliaia di Km di distanza, perchè conosce di persona i luoghi e le persone su cui stanno cadendo le bombe. Giuliano Mezzadri è uno dei volontari dell’associazione Cremona for Chernobyl che per tutti gli anni Novanta e oltre hanno ospitato i bambini colpiti dalle radiazioni della centrale nucleare, per periodi di vacanze terapeutiche.

In questo caso però la vicinanza a bielorussi e ucraini non si è limitata all’ospitalità nei tre mesi estivi, ma si è tradotta anche nella fornitura di medicinali e di aiuti concreti agli ospedali che curavano questi bambini. Un’attività che è sempre andata avanti, resa più difficoltosa dalla pandemia, e oggi diventata quasi impossibile a causa della guerra.

La rete di contatti negli anni si è estesa, ma era partita dall’ospedale di Minsk, in Bielorussia, dove dal 1999 Giuliano recapitava medicinali dall’Italia. “Poi con Lukashenko è diventato tutto più difficile e adesso impossibile”. In questi giorni tragici sta ricevendo richieste di aiuto anche da parte di genitori ucraini con figli ricoverati nell’ospedale pediatrico Ohmatdyt di Kiev. In parte i piccoli pazienti sono stati evacuati in Polonia in parte sono trasferiti nei sotterranei, per stare più al sicuro. Ma manca di tutto.

“L’ultima richiesta mi è arrivata ieri pomeriggio”, ci racconta Giuliano al telefono. “Viene da Oksana, la mamma di una bimba ricoverata, è disperata, serve un medicinale, il Cymevene, che non hanno più. Il marito fa il pompiere e lavora a Chernobyl. Le hanno detto che adesso non c’è più pericolo, ma chissà se è vero …”

Chernobyl, appunto. Per oltre 10 anni i Mezzadri hanno ospitato Katerina, originaria di Dobrush nella regione di Gomel, 80 km circa da Chernobyl. E Gomel è la città dove si è svolto il primo incontro tra la delegazione ucraina e quella russa che avrebbe dovuto innescare una trattativa per il cessate il fuoco, a 20 km dal confine ucraino.

Katerina, la “bielocremonese” come la chiamano affettuosamente, ora è sposata, ha 30 anni e una figlia di 4, e vive a San Pietroburgo. Ma nei giorni dello scoppio della guerra si trovava a casa della madre, in Bielorussia e da lì non si è più mossa. “Veniva ancora una volta all’anno a Cremona; in questi giorni ci scrive sempre, ma preferisce non telefonare, ha paura. Dice che la guerra è scoppiata inaspettata, nessuno avrebbe detto che sarebbe successa. Sente ogni giorno passare sopra la loro testa aerei ed elicotteri… Non si riesce a dormire, mai avrebbe immaginato che il suo popolo sarebbe stato coinvolto in una guerra”.

Nell’album dei ricordi di Giuliano c’è una fotografia: risale al 2019, a uno degli ultimi viaggi in Bielorussia: una macchina stipata di valigie, due violini da Cremona da regalare ai bambini dell’ospedale, in memoria di una ragazzina morta a 17 anni. Accanto c’è una bambina bionda: Alyanka, 3 interventi al cuore nei primi mesi di vita e poi a 4 anni la leucemia.
Sono immagini di un passato recente che seppure nella tristezza della malattia, trasmettono pace; quella pace che oggi non c’è più. gbiagi

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