Cronaca

Bimba nata morta, ginecologa sotto
accusa. Consulenti a confronto

Parola ai consulenti di parte civile e difesa, oggi, nell’udienza del processo contro Alessandra Scarpa, ginecologa all’epoca dei fatti in servizio all’ospedale di Cremona, accusata di omicidio colposo per aver provocato, quattro anni fa, la morte di un feto dovuta ad asfissia da compressione di un lungo cordone ombelicale in un liquido amniotico molto basso. La mamma Nicoletta si trovava alla quarantesima settimana di gravidanza. Aspettava una bimba.

Già in aula si erano espressi gli esperti della procura, Andrea Verzeletti, medico legale, e Michele Costa, ginecologo, che avevano parlato di “imprudenza” da parte della ginecologa, ma non avevano dato certezze sul fatto che la morte si sarebbe potuta evitare.

L’avvocato Lattari

Oggi in aula si sono confrontati il ginecologo Giancarlo Garuti e il medico legale Salvatore Pentivolpe per la parte civile, mentre per la difesa il ginecologo Giancarlo Oliva e il medico legale Vincenzo Lorenzo Pascali.

Gli esperti di parte civile hanno puntato il dito contro l’imputata, che sulla paziente avrebbe dovuto effettuare un “monitoraggio più intensivo” con un ricovero ospedaliero. La gravidanza, per i consulenti, era complicata per via del diabete gestazionale e per una riduzione “enorme” del liquido amniotico. Se la ginecologa avesse fatto ulteriori accertamenti, si sarebbe ridotto “con elevatissima probabilità” il rischio di morte del feto.

Non così per i colleghi della difesa, che invece si sono detti concordi con l’operato della ginecologa, parlando di “evento infausto in una gravidanza considerata correttamente a basso rischio”. “Un evento drammatico, ma non insolito”, ha detto il professor Oliva, “una situazione non prevedibile”. “Al Consultorio la paziente aveva fatto cinque ecografie”, ha ricordato il consulente, “la crescita del feto era lineare, era una gravidanza senza problemi”. Oliva ha escluso la presenza del diabete gestazionale. “Non c’erano segnali di allarme. La bimba era viva almeno fino a poco prima delle 9 del 3 gennaio. Il decesso è avvenuto in ospedale”.

In aula, quando era stata sentita, la stessa Scarpa aveva parlato di “una gravidanza fisiologica”, dove “non c’era alcun segnale d’allarme che lasciasse presagire un epilogo così drammatico”.

L’avvocato Munafò

La paziente era stata visitata sia il 31 dicembre del 2018 che il primo gennaio del 2019, ma per il pm Vitina Pinto, nonostante dagli esami fossero emersi una riduzione del liquido amniotico, una riduzione della crescita del feto e alterazioni della glicemia nella mamma, il medico non aveva ritenuto di ricoverarla, omettendo ulteriori approfondimenti e uno stretto monitoraggio del feto, morto il 3 gennaio del 2019 per sofferenza fetale acuta, asfissiato dal cordone ombelicale. Per la procura, se ci fosse stato un ricovero, alle prime avvisaglie di sofferenza del feto sarebbe stato possibile procedere con l’induzione del parto o al parto cesareo.

“In entrambi gli accertamenti”, aveva però spiegato l’imputata, “non erano emerse situazioni allarmanti. Il tracciato era rassicurante e la frequenza cardiaca del feto nella norma”. L’unica cosa che la ginecologa aveva sottolineato era il fatto che dall’ecografia del 31 dicembre il liquido amniotico era di 5 cm, di poco inferiore rispetto alla norma, ma alla visita del giorno dopo, effettuata “per prudenza”, era tornato normale. “Non c’è alcun esame diagnostico che mostri i giri di cordone intorno al collo del feto. Ci si accorge solo durante il travaglio perchè il battito tende a scendere. Il giro di cordone non è qualcosa di prevedibile”.

Nel processo, la Scarpa è assistita dall’avvocato Diego Munafò, mentre mamma Nicoletta e il marito Antonio, oggi genitori di un maschietto, sono parte civile attraverso il legale Marcello Lattari.

Si torna in aula per la sentenza il prossimo 27 ottobre.

Sara Pizzorni

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