Cultura

Sospiro 1909, un'altra
strage sui binari

La drammatica sorte dei 5 operai a Brandizzo riporta alla memoria un fatto storico di cui si erano perse le tracce sul cremonese

Un'immagine d'archivio di una stazione ai primi del Novecento

di FABRIZIO SUPERTI

Era l’alba del 30 settembre del 1909 quando dalla stazione dei tramvai di Cremona si staccava un convoglio straordinario diretto al capolinea di Casalmaggiore; la locomotiva “Pietro Micca” trascinava tredici vagoni di cui dodici carichi di ceste vuote per le uve e l’ultimo di sacchi di concime chimico.

Nonostante la stagione non ancora avanzata una sorta di nebbia rendeva non perfetta la visibilità al transito; a bordo del convoglio, lungo 78 metri e pesante 67 tonnellate, si trovavano quattro addetti: un capotreno, un macchinista, un fuochista e un frenatore. Secondo le indicazioni fornite in seguito dal capotreno il treno viaggiava ad una velocità media di 12 km all’ora; superate le fermate di Porta Venezia, S. Sigismondo, Bonemerse, Malagnino e Longardore il treno, dopo circa cinquanta minuti di viaggio, giungeva in prossimità della stazione di Sospiro, posta a circa 400 metri dall’abitato.

Tale stazione era contrassegnata dalla presenza di un binario parallelo a quello di linea adibito allo scambio dei vagoni o al loro momentaneo parcheggio. Il giorno precedente sul cosiddetto “binario morto” erano stati depositati due vagoni, uno vuoto e l’altro carico di uva proveniente da Cicognara e destinata alla città; a custodire il prezioso carico si erano posizionati tre fratelli proprietari della merce. Il loro destino si doveva purtroppo incrociare con il sopraggiungere del convoglio proveniente da Cremona. Per ripararsi durante la notte avevano infatti predisposto dei giacigli di paglia, sormontati da coperte solitamente adibite per i cavalli, posti sotto il vagone che dovevano sorvegliare; il primogenito, fortunatamente, aveva invece trovato riparo sotto un portico poco distante e sarà, suo malgrado, testimone diretto della imminente disgrazia.

All’arrivo alla stazione di Sospiro, dove ovviamente non era prevista alcuna sosta, il convoglio, anziché rimanere sul binario di linea, virava inaspettatamente sul binario di scambio in quanto la leva che regolava i meccanismi a terra era stata variata; la mossa coglieva di sorpresa gli addetti del treno che attuavano disperatamente ogni tentativo per rallentarne la corsa avendo notato nell’immediato i vagoni in sosta. Purtroppo le operazioni avviate, ritardate forse anche dall’umidità depositata sui binari, non impedivano, dopo una breve corsa di circa 45 metri,
l’impatto con il primo vagone che, essendo vuoto, veniva scaraventato fuori dai binari per 15 metri. L’urto con il secondo, gravato dal peso del carico, risultava assai più impattante tanto che il vagone finiva per ruotare su stesso finendo per posizionarsi in perpendicolare rispetto all’asse dei binari.

Finita la corsa il personale del treno scendeva ed ispezionando i vagoni investiti rinveniva i corpi dei due fratelli trascinati e martoriati dal brutale impatto; i due sfortunati si trovavano posizionati sui lati opposti delle rotaie. Nel frattempo il terzo fratello era anch’esso giunto sul posto e s’imbatteva nella crudele scena. Il capotreno si dirigeva in paese alla ricerca della stazione dei carabinieri per informarli dell’accaduto; il comandante della stazione, il brigadiere Cristoforo Mazza, si dirigeva sul luogo peritandosi, nel frattempo, di far avvisare il dottor Camillo Poli, il medico condotto del paese.

Quest’ultimo giungeva presso la stazione e poteva compiere una prima sommaria ricognizione sui due corpi riversi sui binari; uno di essi mostrava segni evidenti di sfondamento della zona addominale mentre l’altro dell’arcata mandibolare. I traumi riportati risultavano di tale entità di ritenere la morte pressoché istantanea all’impatto ricevuto; i due corpi venivano intanto trasferiti nella camera mortuaria del locale cimitero per esser poi sottoposti ad un più accurato esame autoptico.

LA RICERCA DELLE CAUSE – Nel frattempo il personale del treno risaliva i binari per avvisare il convoglio passeggeri in arrivo onde evitare una ben più grave sciagura; l’attenzione dei presenti si indirizzava nel frattempo sulle cause che avevano provocato la disgrazia. Il quesito era ovviamente rivolto a comprendere in che modo il convoglio avesse potuto modificare il percorso naturale della sua corsa. La sera precedente l’ultimo treno era transitato dopo le 22 e lo scambio era ancora in perfetto allineamento. Come aveva potuto pertanto essersi mossa la leva che regolava lo scambio?

Da una prima sommaria ispezione si notava il non conforme posizionamento di un bullone che stringeva lo scambio impedendone una manomissione involontaria; lo stesso ingranaggio risultava di un colore e fattezze tali da ritenerlo posizionato di recente. Forse anche dopo la sciagura ferroviaria. Nel primo rapporto sottoscritto dal brigadiere di Sospiro si faceva accenno ad una “apertura dello scambio fatta da qualche passante senza premeditazione.” Addirittura si ventilava l’ipotesi che fossero state le stesse vittime ad aver in maniera involontaria, nell’aggirarsi al buio, manomesso la leva.

Nella stessa giornata si recava presso la zona del sinistro l’avvocato Vittorio Fantoni, giudice Istruttore presso il Tribunale di Cremona; un’analisi più approfondita della dinamica dell’accaduto iniziava però a far propendere la tesi secondo cui la causa andava ricercata in un difetto manutentivo.

La linea in questione, in servizio ormai da decenni, risultava in capo alla Società Nazionale ferrovie e tramvie con sede legale nella capitale; la gestione ordinaria dell’impianto faceva invece riferimento all’ingegner Antonio Bouttiaux, nato in Belgio ma ora residente a Parma.
Nell’immediato la difesa della Società tramviaria si muoveva asserendo che la responsabilità del sinistro andasse ricercata in una proditoria azione messa in atto per danneggiare l’operato della stessa. In una nota stilata si rimarcava come “pur non essendo in grado ora di dare indizi maggiori per la scoperta dei colpevoli, ma profondamente convinta come è che il luttuoso avvenimento lo si deve attribuire ad una manovra dolosa di qualche male intenzionato, denuncia il fatto essendo notorio come sulla linea in parola vi siano sempre state animosità ed in generale specialmente nella classe dei carrettieri, si veda di male occhio la trazione a vapore delle merci che taglia ad essi, specie nella stagione delle uve, molto lavoro.”

La difesa della Compagnia pertanto lasciava intendere che i potenziali sabotatori potrebbero ricercarsi fra coloro che risultavano competitori soccombenti rispetto all’introduzione della linea tramviaria.
Contrario a tale indicazione si mostrava il comandante della locale stazione dei carabinieri; dalle indagini svolte si evidenziava come la “voce popolare” in realtà indirizzasse la responsabilità in capo al concessionario ritenuto poco attento alla gestione ed alla sicurezza sulla tratta ferroviaria.
Il Tribunale intanto affidava all’ingegner Ermenegildo Capellini una perizia sul convoglio e sulla tratta incidentata; dalle prime risultanze si evidenziava come le difformità rilevate rispetto ai criteri di funzionamento previsti dalla legislazione in essere fossero molteplici.

L’ordinanza prefettizia emanata nel 1904 regolava in maniera assai puntuale il funzionamento delle linee tramviarie. I convogli potevano essere al massimo composti da otto vagoni e non superare i 65 metri di lunghezza ed una velocità massima di 20 km; la composizione massima del convoglio
doveva prevedere la presenza a bordo di almeno due frenatori. Stante tali disposizioni risultava evidente il novero delle infrazioni commesse nell’allestimento del convoglio e nelle modalità di transito. Il perito concludeva asserendo che la frenata compiuta in realtà non poteva risultare efficace visto il quadro complessivo della situazione.

La stessa Prefettura locale non mancava di sottolineare le carenze riscontrate nella gestione dell’impianto; in una nota stilata all’inizio di novembre si ricordava come ”nessun elemento di prova si è raccolto, che avvalori i sospetti di opera delittuosa alfine di danneggiare la Società.
Invece pare accertato che il disastro sia esclusivamente dovuto ad incuria della Società esercente, che compone i treni d’un numero esuberante di carri. Oltre a ciò la Società non mantiene sulla linea e specialmente agli scambi nell’abitato, personale di sorveglianza, accontentandosi di vincolarli per la sola consegna o ricezione delle merci. A tutto ciò devesi poi aggiungere che alla rotaia di scambio mancavano i bulloni, che furono applicati in fretta appena avvenuto il disastro, come si ebbe a constatare sul posto.”
A conferma di tali asserzioni giungeva la dichiarazione di Attilio Curtarelli, oste di Sospiro ed agente al servizio della Società tramvia; il suo compito si limitava, infatti, alla sola gestione dei traffici delle merci senza aver invece alcuna cura, nel suo mansionario, della manutenzione e sorveglianza della linea.

L’avvio del procedimento penale per omicidio colposo comportava ovviamente l’avvio di una complessa fase istruttoria con la presentazione di svariate perizie e consulenze affidate ad esperti delle parti in causa; la Società Tramviaria affidava la propria difesa all’avvocato cremonese Libero Stradivari, affiancato da un noto legale romano. La dinamica processuale evidenziava il rimpallo di
responsabilità fra i vertici della Società ed i livelli sottoposti in merito al mancato rispetto delle disposizioni in vigore.
Una vicenda antica che ripropone, purtroppo, vecchi vizi che ancora oggi persistono e si reiterano nel tempo.

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