Cronaca

Anziana precipitata dalle scale
della Rsa. Assolti i tre imputati

Si è concluso una sentenza di assoluzione con formula piena il processo per la morte di Eugenia Baroni, 82enne di Martignana di Po, ospite della Casa di Riposo Busi di Casalmaggiore, che il 2 agosto del 2020 cadde precipitando da una rampa di scale interna alla Rsa casalese.

Nessuna responsabilità per i tre imputati: Giuseppe De Ranieri, il direttore sanitario, Hugo Jesus Martinelli, all’epoca medico di reparto, e la coordinatrice infermieristica Antonella Colombi, tutti accusati di omicidio colposo.

Per il pm, che aveva chiesto per ciascuno una pena di sei mesi, l’82enne, ospitata al primo piano della struttura, si era mossa liberamente subito dopo la colazione, riuscendo ad arrivare alla rampa di scale dalla quale era poi caduta, senza che nessuno del personale riuscisse a fermarla o la tenesse sotto controllo, come sarebbe stato opportuno, viste le condizioni di salute dell’anziana, con un quadro clinico di degenerazione cognitiva, che deambulava a fatica e per mezzo di una carrozzina.

Secondo i consulenti del pm, si sarebbero dovute adottare terapie farmacologiche che avrebbero permesso di contenere la continua tendenza a vagare dell’anziana, che già dal 17 al 30 luglio del 2020 aveva cercato per quattro volte di uscire da quella porta d’emergenza, collocata in fondo al corridoio proprio vicino alla stanza della Baroni. E avrebbero dovuto essere messi in atto anche una serie di ulteriori accorgimenti, come ad esempio collocarla in una stanza più lontana dalla porta d’emergenza.

In realtà c’era già l’intenzione di spostare la Baroni in una stanza al piano di sotto, dove i pazienti erano maggiormente sorvegliati, ma si era in attesa delle firme dei familiari per l’autorizzazione. L’appuntamento era stato fissato il 3 agosto, ma purtroppo il giorno prima era accaduta la tragedia.

L’avvocato Benedini

“La paziente si trovava in condizioni di estrema fragilità, non abbiamo ritenuto di contenerla fisicamente, nè di cambiare la terapia farmacologica, in quanto gli effetti collaterali sarebbero stati controproducenti”, si era difeso, lo scorso 11 ottobre, il direttore sanitario. Dello stesso avviso, il collega Martinelli: “quella della Baroni era una demenza accentuata dai disturbi comportamentali dovuti ai continui spostamenti a causa dell’emergenza Covid. Per il ‘wandering’, e cioè il vagabondaggio, comportamento frequente tra i malati di demenza, non esiste una terapia farmacologica”.

“I medici conoscevano bene la situazione della signora”, ha detto l’avvocato Giovanni Benedini, legale di De Ranieri. “Che terapie alternative si potevano adottare? Sedarla? O magari legarla a un letto?. Invece la si voleva trasferire nel reparto Alzheimer, malgrado l’opposizione delle figlie che non accettavano la malattia della loro mamma”. “Una situazione difficile, improvvisa e imprevedibile”, ha detto a sua volta l’avvocato Donata Cappelluto, legale del medico Martinelli, che ha ribadito le enormi difficoltà di pianificazione che il Covid aveva comportato.

In aula si è discusso anche del funzionamento della porta d’emergenza che al passaggio dell’anziana aveva attivato l’allarme. Ma quando il personale era intervenuto era già troppo tardi. “Il sistema di allarme”, aveva spiegato l’ingegner Stefano Cerini, consulente della difesa, “era collocato sulla porta di sinistra”. L’esperto aveva riferito che l’apertura della singola porta non sarebbe stata sufficiente per far passare tutta la carrozzina e che l’intera porta d’emergenza, all’arrivo dell’anziana, era appoggiata e non chiusa.

“Mai la signora avrebbe potuto aprirla”, ha sottolineato l’avvocato Benedini. “Ciò vuol dire che la porta era aperta”. Nel corso della precedente udienza, lo stesso direttore sanitario aveva spiegato delle segnalazioni che gli erano arrivate: certe volte alcuni operatori dell’impresa di pulizie, dovendo passare spesso per quei varchi, per comodità socchiudevano la porta anzichè chiuderla correttamente. E non solo loro: avrebbe avuto questo “malcostume” anche qualcuno del personale che, uscendo per fumare, “si era preso qualche libertà che non doveva prendersi”.

Sulla posizione della coordinatrice infermieristica Antonella Colombi, l’avvocato Fontanesi ha ripercorso quella che era stata la testimonianza della sua assistita. Venuta a sapere dei tentativi della paziente di uscire, ne aveva parlato con il direttore sanitario che già era al corrente del problema e che aveva informato la famiglia, la quale si era presa un periodo di tempo per pensare ad uno spostamento. “La mia cliente non aveva poteri decisionali. Aveva l’obbligo di informare e lo ha fatto. L’unica volta che ha preso una decisione, spostando la paziente, è stata sottoposta ad un procedimento disciplinare”.

“E’ stata una causa triste”, ha aggiunto l’avvocato Benedini nella sua arringa, che come i suoi colleghi ha ricordato che il giorno della tragedia tutti e tre gli imputati non si trovavano all’interno della struttura. “In questo processo non ci sono imputati, ma ci sono tutte vittime”. Alla lettura della sentenza c’è stato l’abbraccio tra il direttore sanitario e il suo legale.

Nel processo, la famiglia della vittima non era parte civile in quanto già risarcita di una somma di 420mila euro.

La motivazione della sentenza sarà depositata entro 90 giorni.

Sara Pizzorni

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