Chiesa

Guerre, sanità, ambiente:
l'intervista al vescovo Napolioni

Un Natale che arriva ancora una volta mentre tutt’attorno a noi continuano le guerre e ne nascono di nuove in territori dove da troppo tempo il mondo aveva deciso di chiudere gli occhi su situazioni irrisolte.

E’ con una riflessione su situazioni che lasciano spaesati i credenti, che inizia il dialogo  -intervista tra il direttore Guido Lombardi e il vescovo di Cremona Antonio Napolioni in occasione di questo 25 dicembre.

“Smarrimento e bisogno di fede, di speranza e riflessione vanno insieme – ha detto Napolioni – perchè siamo  scioccati, ma anche capaci di fare l’abitudine a tutto o di fuggire da questa realtà, cercando bolle di realtà virtuale, di consumo sfrenato, di dipendenze, di solitudini. E invece è sempre possibile rinascere, questo è il messaggio della fede. La fede non viene turbata quando le cose vanno male, ma viene chiamata in causa per ricostruire la realtà su basi più vere e più giuste”.

“La nostra generazione – ha aggiunto il Vescovo – per anni ha vissuto nel boom, nell’illusione ottica del progresso indiscriminato: ora ha il compito di rendere sostenibile la convivenza umana rifondandola sull’essenziale, mettiamoci insieme alla ricerca dell’essenziale”.

Si è poi parlato dell’organizzazione della Chiesa Cremonese, partendo dal cammino sinodale in corso. I cambiamenti non devono spaventare, afferma Napolioni, in quanto “la Chiesa è un popolo vivo” e diverse forme di organizzazione rispetto al passato sono l’occasione per riscoprire i valori fondamentali, “ascoltando la Parola di Dio ma lasciando spazio anche alla creatività per affrontare le sfide di oggi”. Nelle Scritture d’altra parte ritroviamo tutte le grandi situazioni umane, basti pensare a quanto attuale, purtroppo, sia ancora il tema dell’esodo o dell’attraversata del deserto.

“Volendo sintetizzare con uno slogan: un po’ meno Chiesa e un po’ più Gesù Cristo, incarnati nella realtà umana”, questo il senso dei cambiamenti che verranno, per “sfrondare tutto ciò che è obsoleto e non trasmette vita e invece accendere ciò che la trasmette”.

Il 2023 è stato l’anno in cui il santuario di Caravaggio è diventato ufficialmente di valenza regionale, ma “sono 600 anni che è il cuore spirituale della regione. L’ufficialità significa la constatazione del fatto che lì si riuniscono i vescovi ma soprattutto vanno i fedeli, le famiglie, i gruppi”. Un santuario in cui si venera Santa Maria della Fonte, proprio per la presenza delle risorgive, ma “quel contesto di silenzio, bellezza, cura dell’ambiente rischia di essere stravolto dalla moltiplicazione di insediamenti logistici giganteschi”. Un luogo, uno dei pochi, in cui il paesaggio riveste una funzione consolante “per chi viene a vivere giornate di risorgimento psicologico e spirituale.
Il consumo di suolo è un tema all’attenzione della Chiesa: il lavoro, la produzione, hanno le loro esigenze, ma credo che la regione abbia già dato tanto, dovremmo chiedere una moratoria e non solo per il santuario ma anche per altri contesti”.

Napolioni non si è sottratto ad un’altra domanda di stretta attualità, il nuovo ospedale di Cremona. “Da cittadino dico che il progetto è affascinante, immaginare un ambiente integrato, che favorisca un’esperienza sensoriale della bellezza, della relazione che arricchisce la terapia e la cura delle persone. Ma il vero tema credo che sia il modello dell’esercizio del servizio sanitario. Non illudiamoci che un remake esteriore possa sostituirsi ad investimenti, a quelle capacità organizzative, a quell’elaborazione di competenze che richiedono risorse perchè ci siano medici, infermieri, tempi, strumentazioni.
Veniamo da un’esperienza eccezionale come quella del servizio sanitario nazionale, pubblico. Non la possiamo certo ‘nascondere’ nelle sue difficoltà, solo con una riqualificazione estetica. Quindi: il nuovo ospedale è affascinante ma direi, facciamo vedere che davvero comporta un salto di qualità nel servizio e nella promozione del bene integrale della personale”.

Infine, l’augurio: “Che il bambino che contempliamo nel Natale sia davvero quel figlio che sentiamo il bisogno di curare. Da rettore del seminario mi chiedevo spesso davanti a un candidato: gli affiderei mio figlio? Se il criterio fosse sempre che tutti gli altri sono figli nostri, credo che il Natale non finirebbe con il cenone”.

 

 

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