Cronaca

Revenge porn alla dottoressa, non fu
personal trainer a diffondere video

Il tribunale di Brescia

Il personal trainer non diffuse i video e le foto hot della dottoressa. Questo quanto emerso dalla deposizione del perito, nominato dal giudice nell’ambito del procedimento per revenge porn, che vede imputate cinque persone, e la cui vittima è un medico, una 40enne bresciana che lavorava in uno studio a Cremona.

La donna era stata vittima di revenge porn e aveva presentato una denuncia dopo che alcuni video hot privati erano diventati pubblici e virali. Lo studio di Cremona l’aveva licenziata perchè anche sul posto di lavoro arrivavano chiamate da uomini che volevano un appuntamento con la professionista.

Tra gli imputati, appunto il personal trainer – difeso dall’avvocato Ennio Buffoli – che però, secondo quanto evidenziato dall’esperto informatico, Cesare Marini, autore della perizia, sarebbe estraneo alla diffusione dei video incriminati. Nel suo telefono, infatti, non vi è prova della diffusione di tali immagini, che a lui erano state inviate dalla stessa vittima.

“Sul telefono dell’imputato sono stati rinvenuti 34 file che ritraggono la parte offesa, 28 dei quali in atteggiamento sessualmente esplicito” ha riferito il perito, interrogato dal legale e dal procuratore aggiunto Nicola Serianni. “I filmati gli sono stati inviati dalla stessa persona offesa”. Ma lì sono rimasti. L’imputato, quindi, “non li ha condivisi con nessuno. Non c’è traccia di invio di quei contenuti ad altri: né con WhatsApp, né con altri mezzi”.

Unica cosa attribuibile all’imputato, niente però di penalmente rilevante, è stata la condividione di cinque immagini, screen shot dei video, a quattro persone. “Ma l’ha fatto senza mostrare il viso della persona offesa, e senza fornire le sue generalità” ha detto ancora il perito.

Secondo l’esperto informatico, inoltre, la vittima aveva condiviso i suoi video con almeno altre tre persone. Altri due degli indagati, avevano in effetti divulgato il materiale. Non è tutto: l’analisi fatta dal perito, proverebbe che i due conoscessero l’identità della donna, e ciò nonostante avevano continuato a far girare i video.

Emerge, inoltre, che la persona offesa aveva “chiesto agli interlocutori di cancellare quei video dalle chat una ventina di volte” ha detto il perito. Addirittura, inviando il contenuto dell’articolo 612-ter (quello che punisce il revenge porn, ndr) “in 303 chat”.

Il processo è stato rinviato al 13 marzo: in questa sede verrà sentita un’indagata che era stata prosciolta dall’accusa. La discussione e la sentenza invece saranno il 27 dello stesso mese.

Laura Bosio

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