Cultura

Sara Lazzaro, l'attrice di "Doc"
al Ponchielli: show da applausi

Una storia di crepe ed egoismo, abbracci e abbandoni, addii e ritorni; con una domanda che campeggia costante: in fin dei conti, cos’è l’amore?
Si potrebbe così riassumere “Scene da un matrimonio”, pièce rappresentata nella serata di martedì al Ponchielli di Cremona, per la regia di Raphael Tobia Vogel.
Lo spettacolo, trasposizione teatrale degli omonimi lungometraggio e serie televisiva degli anni ’70 a firma del celebre cineasta svedese Ingmar Bergman, racconta le vicende familiari di una coppia all’apparenza esemplare: due figlie, un buon lavoro, pochi litigi e tanta routine.
Una situazione idilliaca e come tante, che appena sotto la superficie nasconde profonde insofferenze.
Sul palco, nei panni dei protagonisti Giovanni e Marianna, due attori d’eccezione come Fausto Cabra e Sara Lazzaro, quest’ultima già nota al grande pubblico per le sue interpretazioni nella serie Rai Doc e in diversi film.

Un viaggio psicologico all’interno di sentimenti e relazioni, diviso in otto scene, dove nessuno è davvero vittima o carnefice.
“Marianna – commenta Sara Lazzaro – come si definisce anche nello spettacolo, è moglie di Giovanni e madre di due figlie, è avvocato e in qualche modo è una contraddizione, secondo me, di cosa significhi essere donna: essere donna come singolo, essere moglie, che deve trovare la sua collocazione all’interno della famiglia e della società. Questo spettacolo è una radiografia della coppia, una specie di analisi ai raggi X di quello che è, non solo una relazione matrimoniale, ma una relazione affettiva tra due persone, tra due individui”.

“Con la nostra versione dello spettacolo – conferma Fausto Cabra – abbiamo realizzato un percorso incentrato sulle persone, più umano; diventa un viaggio nei confronti di sé, dove l’altro diventa il luogo di una proiezione di propri demoni o di propri irrisolti. I nostri personaggi sono essenzialmente due persone che mentono sia all’altro sia a sé stessi, si raccontano una vita che non esiste. Questo atteggiamento corrompe un rapporto che si viene a costruire.”

 

Durante la rappresentazione, è stato inoltre dato diverso spazio all’analisi introspettiva e alla crescita personale dei personaggi, come confermato anche dall’attrice.
“Sotto questo punto di vista, Bergman è un genio. La cosa che tutti quanti abbiamo trovato straordinario è come un testo, comunque, degli anni ‘70 abbia una enorme rilevanza anche nei giorni nostri. All’epoca aveva creato così tanto scalpore che i divorzi erano sensibilmente aumentati; è interessante come lo spettacolo ogni sera risvegli una reazione da parte del pubblico.”

“uno dei problemi della contemporaneità è proprio questo rapporto guastato nei confronti della propria complessità – fa eco Cabra – perché siamo diventati grandi virtuosi equilibristi della superficie e non siamo più abituati a fare i conti con i nostri movimenti interni e le nostre contraddizioni. Pensiamo di essere coerenti a prescindere, come se fosse un assunto di partenza, ma eventualmente la coerenza è un punto di arrivo (a parer mio, quasi inarrivabile). Partiamo dal presupposto che noi siamo un magma in totale complessa contraddizione e che è difficile da sbrogliare. Se si parte da questa schiettezza, nei confronti di noi stessi, allora si può andare da qualche parte; lo spettacolo arriva, non a non mentire più all’altro, ma a un tentativo di non mentire più a sé. Questo è un po’ il punto sul quale, forse, può nascere qualcosa”.

Parte integrante dello spettacolo anche la scenografia, studiata a puntino per rappresentare l’isolamento dei personaggi: una casa, divisa in due stanze, in cui gli attori si avvicinano senza mai toccarsi veramente.
Chiave di volta dell’intera pièce è però stata la regia, magistralmente condotta da Raphael Tobia Vogel.
“Lui è stato bravissimo – conferma Cabra – perché ci ha messo nelle condizioni di essere coautori del viaggio che si faceva insieme, e questo è sintomo di grandissima intelligenza. Il testo di partenza è stato un collage tra il film e la serie tv; ci ha dato questo materiale e poi si è messo in totale ascolto delle nostre proposte. Per esempio, il mio Giovanni è un personaggio radicalmente diverso da quello proposto da Bergman, anche perché il concetto di ‘maschio’ è completamente cambiato. Il ‘mio’ Giovanni è un maschio più infantile, che ha un accesso a una propria emotività in modo più spudorato rispetto a quanto si facesse un tempo; è un soggetto che obbliga l’altra persona a prendersi cura delle proprie ferite, magari proprio nel momento in cui la sta ferendo”.

“Giovanni e Marianna – prosegue l’attore – sono due persone incastrate nella dimensione della figliolanza: non evolvono a diventare madre, padre, donna e uomini pieni. Anche questo è un altro grosso problema della contemporaneità di questi maschi che a 45 anni sono ancora dei post-adolescenti”.

Uno spettacolo che con le sue quasi 2 ore e mezza di rappresentazione ha saputo far divertire e riflettere un teatro Ponchielli gremito.
Alla fine, per gli attori, solo lunghi applausi.

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