Omicidio di via dell'Annona Chabli è capace di intendere In appello confermati 18 anni
Chabli Saddike, 60 anni, il marocchino già condannato in primo grado a 18 anni per aver strangolato a morte la moglie Nadia Guessos, 46 anni, nella notte tra l’11 e il 12 gennaio 2016 nel loro appartamento al primo piano al civico cinque di via dell’Annona, è capace di intendere e di volere. Lo ha sostenuto lo psichiatra di Brescia Luca Monchieri al quale i giudici della corte d’assise d’appello di Brescia (presidente il giudice Enrico Fischetti, relatore il giudice Massimo Vacchiano e sei giudici popolari, tra cui cinque donne e un uomo) avevano conferito l’incarico di effettuare una valutazione dell’imputato.
Dunque, il 60enne quando ha ucciso la moglie era perfettamente in grado di intendere e di volere. Dopo aver ascoltato i risultati della perizia, la corte, dopo quasi due ore e trenta di camera di consiglio, accogliendo la richiesta del sostituto procuratore generale Marco Martani, ha confermato per Chabli, processato con il rito abbreviato e difeso dall’avvocato Alessandro Vezzoni, la sentenza emessa in primo grado il 14 novembre del 2016 dal gup di Cremona Pierpaolo Beluzzi: 18 anni di reclusione. Cadute le aggravanti dei futili motivi e della premeditazione. I giudici di Brescia hanno confermato il risarcimento del danno di 400mila euro (di cui 200 di provvisionale) nei confronti di una delle due figlie, all’epoca minorenne, parte civile attraverso l’avvocato Maria Laura Quaini. “Se gli confermano la pena”, ha detto, preoccupato, l’avvocato Vezzoni, “il mio cliente ha minacciato di suicidarsi”.
Il perito della corte ha quindi escluso per Chabli un vizio di mente anche parziale, non riconoscendo neppure il disturbo della personalità che invece era stato diagnosticato da diverse equipe di medici cremonesi in occasione dei vari ricoveri del 60enne. Tesi, quella dell’esperto, non condivisa dall’avvocato Vezzoni: “non è possibile, con soli due colloqui, disconoscere quanto invece ha constatato personale medico competente che ha avuto in cura il mio cliente per anni, dal 2003 al 2015. E cioè che Chabli soffre di un grave disturbo della personalità con sintomi di scarso controllo e assenza di freni dell’impulsività”. Anche l’avvocato Vezzoni si era avvalso di un consulente di parte: Miriam Lazzaretto, docente all’università di Venezia che lavora in ospedale a Padova. “L’esperta”, ha spiegato il legale, “ha sostenuto che il marocchino non è affetto da vizio di mente, ma soffre di disturbo della personalità”.
Nella casa di via dell’Annona, i carabinieri erano intervenuti nelle prime ore del 12 gennaio del 2016 dopo la chiamata di uno dei figli dell’imputato. Il marocchino aveva contattato i militari di Cassano d’Adda ai quali, in metà francese e in metà inglese, aveva riferito le parole: ‘padre, Cremona via Annona 5, morto’. Nel corso dell’intervento, uno dei carabinieri era riuscito a mettersi in contatto con il marocchino che in inglese aveva riferito che il proprio padre gli aveva annunciato la volontà di togliersi la vita.
Era stato lo stesso Chabli Saddike ad aprire la porta di casa agli uomini dell’Arma. Alla loro vista, però, era corso verso la camera da letto e aveva raccolto da terra una corda con cui aveva formato un cappio e se l’era infilata al collo. L’uomo, immediatamente bloccato, aveva raccontato ai carabinieri di aver appena strangolato la moglie, trovata senza vita in una stanza attigua. Il corpo, che presentava sul collo un ematoma da strangolamento, era disteso sul letto e coperto da un lenzuolo. Successivamente l’uomo aveva consegnato ai carabinieri anche alcuni biglietti manoscritti conservati sul tavolo della cucina nei quali sosteneva di essere stato maltrattato e dando disposizioni in ordine alla propria salma.
I fatti erano stati ricostruiti dallo stesso Chabli che aveva ricordato che quel giorno aveva chiesto alla moglie di comprargli un medicinale, ma lei era tornata senza, e al rientro dal lavoro della donna la discussione era continuata. A quel punto l’imputato aveva messo le mani intorno al collo della moglie, provocandone la morte. Poi aveva scritto i biglietti ed aveva chiamato uno dei suoi figli che era in Francia, invitandolo a chiamare le forze dell’ordine e a mantenere la calma. In sede di udienza di convalida, Chabli aveva affermato di aver deciso di uccidere se stesso e la moglie poco dopo che quest’ultima era uscita per andare al lavoro. Aveva preso la corda dalla macchina con il fine preciso di utilizzarla per suicidarsi e che già in quel momento aveva maturato l’idea di uccidere la moglie appena rientrata in casa e poi di porre fine anche alla propria vita.
“Il rapporto con la moglie non si è rovinato quel giorno”, ha spiegato l’avvocato Vezzoni. “Era già da 15, 20 anni che andava male. Lei era gelosa dei figli che lui aveva avuto in prime nozze e adesso che lui era disoccupato, lei non gli dava neanche un centesimo. Lui prendeva dieci milligrammi al giorno di Lorazepam, quando invece la dose consentita è di 7 e mezzo”. “A suo favore”, ha ricordato il legale, “c’è una mole di documentazione medica di circa 15 anni”.
“Non c’è soddisfazione per dei figli che vedono riconosciuto il padre colpevole di aver ucciso la loro madre”, ha commentato infine l’avvocato di parte civile Maria Laura Quaini, “ma c’è stata una risposta alla domanda di giustizia”.
La motivazione della sentenza sarà depositata entro 90 giorni.
Sara Pizzorni