Cronaca

Gli eroi del covid ospiti nelle strutture diocesane: 'La carità di Cremona ci ha dato una casa'

Due testimonianze importanti e bellissime di chi è arrivato a Cremona e che ha combattuto il Covid. Sono Gabriele e Andrea, intervistati dal sito della Diocesi. Toscano l’uno e bergamasco l’altro, accorsi a Cremona per dare una mano e ospitati in alcune strutture della diocesi, messe a disposizione proprio per questo scopo, ospitati proprio da strutture diocesane.

“Potrei raccontare molte cose di questa esperienza, ma posso solo partire da una gratitudine per come Cremona mi ha accolto”, ha detto Gabriele Tinti, giovane infermiere di Arezzo. “Scaraventato nel pieno della crisi, mi sono trovato a dover decidere dove passare le poche ore che avevo tra un turno e l’altro”. Gabriele è stato ospite presso la Casa dell’accoglienza della Caritas. “Cercavo un posto dove poter ‘staccare’ e che potesse aiutarmi umanamente a rimanere vivo. Così ho incontrato don Pier e tutti gli ospiti della struttura”.

Sono state settimane difficili per lui e i suoi colleghi, nove di loro ospiti alla Casa dell’Accoglienza. “All’inizio non è stato scontato confrontarci per paura del contagio” racconta. “Pian piano siamo però entrati in relazione con tutti: tra noi, con i sacerdoti e i volontari, con gli immigrati o le persone in difficoltà. Umanamente era una boccata d’aria fresca”. Così mentre il lavoro era durissimo, ma quei tre mesi hanno “restituito con chiarezza il fatto che il mestiere d’infermiere è una vocazione, un compito. Anche in ospedale abbiamo riscoperto il valore di quel che facciamo. Penso a tanti colleghi che avrebbero potuto prendersela con noi ‘arrivati da fuori’, noi a cui erano state accordate condizioni economiche migliori rispetto a loro e invece no. Ci hanno accolti facendoci esprimere professionalmente al massimo, in una gara di umanità e solidarietà che ricorderò per tutta la vita”.

Anche il dottor Andrea Cometti, specializzando di chirurgia generale, si trovava a Cremona da novembre. “Vivevo in un b&b, avrei dovuto rimanere per poco tempo” racconta. “Poi è arrivato il covid e tutti ci siamo trasformati in medici di medicina interna: gli pneumologici ci hanno insegnato come affrontare queste polmoniti interstiziali laterali. Ogni giorno era una triste routine fatta di ventilazioni forzate, prelievi, pazienti in terapia intensiva. A volte il malumore o le lamentele tra noi prendevano il sopravvento e mi pesava passare perfino le ore di riposo sdraiato su una brandina in ospedale”.

Poi, il contatto con don Pier Codazzi, che lo ha sistemato in un centro d’accoglienza a San Savino. “Per me quel luogo è diventata una seconda famiglia, un luogo dove tornare e sentirmi in pace in un momento in cui – lontano da casa e con i genitori entrambi malati di covid – davo tutto e in ospedale non si parlava d’altro che di morti, letti o ventilatori mancanti, parenti da avvisare. La casa di San Savino è stata una carezza”.

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