Pandemia, per quasi un italiano
su due il peggio è passato
I risultati di una indagine di EngageMinds HUB, il Centro di ricerca dell’Università Cattolica, campus di Cremona
Per quasi un italiano su due (41%) la fine della pandemia è ormai vicina. La quota di italiani che pensano che il ‘peggio sia passato’ è ben più alta di circa un anno fa, quando a marzo 2021 era solo il 17% a pensarla così.
È uno dei risultati emersi dall’indagine realizzata dall’EngageMinds HUB, il Centro di ricerca dell’Università Cattolica, campus di Cremona sulla base di dati recentissimi, raccolti ed elaborati tra fine gennaio e inizio febbraio. La ricerca è parte di un Monitor continuativo sui consumi alimentari e sull’engagement nella salute che rientra nelle attività del progetto CRAFT (CRemona Agri-Food Technologies) e di Ircaf (Centro di riferimento Agro-Alimentare Romeo ed Enrica Invernizzi). È stata condotta su un campione di oltre 7000 italiani, rappresentativo dell’intera popolazione per sesso, età, appartenenza geografica e occupazione. Inoltre, la metà del campione intervistato (49%) ritiene che oggi Covid-19 sia meno pericoloso di prima: a settembre 2021 era il 37% e a marzo 2021 era solo il 19% a pensarla così.
“Gli italiani hanno ora necessità di ‘voltare simbolicamente pagina’, riconquistandosi spazi di libertà di vita ma soprattutto riacquisendo capacità progettuale sul proprio prossimo futuro – commenta la professoressa Guendalina Graffigna, Ordinario di Psicologia dei consumi e della salute e direttore dell’EngageMinds HUB dell’Università Cattolica -. Una necessità frustrata a più riprese dalle precedenti ondate della pandemia ma che ora più che mai diventa necessaria per dare ossigeno anche sul piano psicologico».
C’è aria di riapertura, spiega la professoressa Graffigna, infatti «proprio in questi giorni è caduto l’obbligo di indossare la mascherina all’aperto, con la prospettiva – ancora lontana e tutta da confermare – di allargare questa possibilità persino agli ambienti chiusi”. Non a caso gli italiani sembrano meno preoccupati per il virus. Infatti, alla domanda “si ritiene preoccupato per la sua salute” ha risposto “sì” solo il 18% del campione, contro il 35% di marzo 2021. Si mantiene stabile il timore di nuove varianti del virus Sars-Cov-2, ma tutto sommato su livelli non elevati, cioè pari al 28%. Si fa tuttavia sentire “l’effetto Omicron”, visto che sulla questione specifica del percepirsi a rischio di contagio risponde positivamente il 38% del campione, una percentuale in forte aumento dal settembre scorso, quando era il 26%.
“Questo dato, che mostra quanto gli italiani si sentano a rischio contagio, è particolarmente rilevante oggi, in fase di allentamento di alcune restrizioni e nel quale si prospetta la fine dell’emergenza – sottolinea la professoressa Graffigna –. Si tratta di evidenze importanti e rassicuranti perché indicano che gli italiani sono pronti e consapevoli a convivere con il virus, riappropriandosi di qualche libertà persa ma senza comportamenti superficiali”.
Ci sono però dei distinguo da fare a seconda delle fasce demografiche, con evidenze non scontate. “Per esempio – prosegue Graffigna – emerge che gli over60, che da inizio pandemia si sono sempre mostrati tra i più cauti, oggi si rivelino meno preoccupati della media nazionale (28% contro 38%), e soprattutto lo risultino assai meno dei trenta-cinquantenni, la fascia, ricordiamolo, dove in Italia risiede la maggior parte dei non vaccinati, che a fronte di un atteggiamento più sicuro nel passato, oggi, per il 42% dei casi denunciano particolare preoccupazione verso il rischio di contagio”, conclude l’esperta.