Cronaca

Non rubò la cassaforte dal carcere
Assolto ex agente: "Giustizia è fatta"

Nella foto, l'avvocato Curatti e Palmieri

Resta senza un colpevole la vicenda del furto della cassaforte rubata quattro anni fa dal carcere di Cremona con al suo interno 7.500 euro, l’incasso destinato all’Ente di assistenza per il personale dell’amministrazione penitenziaria. Oggi Francesco Palmieri, 52 anni, l’ex assistente capo finito a processo per peculato e simulazione di reato, è stato assolto con formula piena. Per l’imputato, il pm Davide Rocco aveva chiesto una pena di 5 anni e 9 mesi, ma il collegio dei giudici ha accolto in toto la tesi della difesa, rappresentata dall’avvocato Luca Curatti. “Giustizia è fatta”, ha commentato Palmieri, visibilmente emozionato, subito dopo la lettura della sentenza. L’ex agente della penitenziaria, fino ad oggi in aspettativa speciale, ha così il via libera per chiedere un lavoro in tribunale come ufficiale giudiziario.

Non si è mai saputo con certezza il giorno e l’ora del furto. Chi lavorava all’interno del penitenziario se n’era accorto il 23 ottobre del 2018. La porta dell’ufficio del gestore del bar era scardinata e la cassaforte sparita. Per il pm, la cassaforte era stata smontata dal muro dopo che erano state tolte le viti, operazione che, visti i bulloni trovati ancora inseriti nei fori, sarebbe potuta essere fatta solo con la cassaforte aperta, e Palmieri era colui che aveva le chiavi, essendo il gestore del bar. Stesso discorso per la porta scardinata. “Non c’erano segni di scasso”, ha sostenuto il pm, “ma i cardini erano fuori sede”. Per l’accusa, la porta era stata aperta da chi aveva la chiave, e quindi da Palmieri: “Impossibile”, per il pm, “togliere la porta dai due cardini senza prima doverla aprire”. La porta sarebbe stata quindi manomessa quando era aperta.

Ben diversa la versione della difesa, che ha parlato di “violenta asportazione”, sostenendo che la cassaforte era stata sradicata e la porta scassinata, come già riferito in aula dall’assistente capo della Polizia di Stato Giovanni Ruggero, che si era occupato dei rilievi tecnici. L’esperto aveva parlato della presenza di segni di scasso sulla porta e di segni di scalfittura nello spazio dove si trovava la cassaforte, “come se fosse stata sradicata”. Sul muro erano state rilevate colature di un liquido lubrificante e per terra un lenzuolo, “come se fosse stato posizionato per attutire la caduta della cassaforte”.

In quel periodo l’imputato era già stato congedato per malattia (ha un’invalidità dell’80% e una protesi all’anca), ma era comunque andato avanti a svolgere la parte burocratica. Il 18 ottobre del 2018, proprio perchè in congedo, Palmieri si era recato in carcere per consegnare tesserino e pistola. Quel giorno era stato inquadrato dalle telecamere in entrata alle 19,12 e in uscita alle 19,40, e poi ancora in entrata alle 20 e in uscita alle 20,12: l’imputato aveva spiegato di essere tornato a casa a prendere una valigia per poter ritirare tutti i suoi effetti personali. Dai tabulati telefonici, alle 21,28 il suo cellulare aveva agganciato la cella a San Daniele Po, vicino alla discarica. Per l’accusa, la cassaforte sarebbe stata portata via proprio la sera del 19 ottobre nascosta all’interno del trolley dell’imputato che avrebbe poi raggiunto la stazione ecologica per disfarsene. Una cassaforte, ha sottolineato il pm, “del peso di 20 chilogrammi”. Un peso che Palmieri, con un’invalidità che Davide Rocco ha definito “generica”, sarebbe comunque stato in grado di trasportare.

“Quella cassaforte pesava 70 chili”, ha rilanciato l’avvocato Curatti, che ha ricordato che quando era stata trasferita in un’altra stanza c’erano volute tre persone e un carrello per trasportarla. “Palmieri non avrebbe quindi potuto nè portarla in una valigia di modeste dimensioni, nè trasportarla di peso, visti i suoi problemi di salute, con un’invalidità dell’80% e una protesi all’anca”. Per quanto riguarda invece il presunto passaggio alla discarica, il legale della difesa ha fatto chiarezza sui luoghi: “la cella telefonica ha segnalato la presenza del mio cliente non su un vicolino di campagna, ma su una provinciale che da Cremona va a Casalmaggiore, va a Parma e va a Brescia”. E ancora: “Palmieri”, ha aggiunto l’avvocato Curatti, “si era recato in carcere il 18 ottobre, ma il furto è stato scoperto il 23. Di fronte alla sala del gestore c’è la sala riunioni, dove tutti i giorni gli agenti si incontrano. E nonostante questo, nessuno, prima di quel giorno, si è mai accorto che la porta era stata scardinata”.

“Un processo indiziario”, aveva ammesso il pm all’inizio della sua requisitoria, “ma un processo indiziario non significa un processo senza prove. E tanti indizi, precisi, gravi e concordanti come in questo caso, formano una prova. Non c’è alcuna teoria alternativa”. Per l’avvocato della difesa, invece, “un quadro di indizi chiari e incontrovertibili a favore dell’imputato”. E i giudici gli hanno dato ragione.

Sara Pizzorni

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