Cronaca

Fusione di Comuni, cent'anni
fa gli stessi problemi di oggi

Il "caso" della bocciatura al referendum sul futuro di San Daniele Po e Pieve d'Olmi ha tanti tratti in comune con quanto successe tra Caselponzone e Scandolara Ravara quasi un secolo fa. Anche in quel caso il Comune che avrebbe dovuto assorbire i debiti dell'altro disse no all'aggregazione

La via dei portici di Castelponzone nel 1934 e oggi

di FABRIZIO SUPERTI

Il tentativo di fusione messo in atto dai Comuni di Pieve d’Olmi e san Daniele Po, riapre una questione di vecchia data.
Cent’anni fa il tema delle aggregazioni fra i piccoli comuni entrava nell’agenda politica anche in ambito cremonese; da oltre mezzo secolo la struttura amministrativa del territorio non conosceva modifiche strutturali nella sua conformazione postunitaria. La radicale operazione condotta alla fine degli anni Sessanta dell’Ottocento aveva, infatti, ridotto a 133 il numero dei comuni che formavano la provincia di Cremona. Nonostante i tentativi operati in diversi periodi l’assetto non variava sensibilmente ad eccezione della complessa ed elaborata formazione del comune di Rivarolo del Re (1915) per distacco da Casalmaggiore.

Nel primo dopoguerra il dibattito circa l’assetto amministrativo riprendeva con nuovo vigore; il territorio provinciale, popolato da circa 350.000 abitanti, nel corso dei decenni aveva ovviamente subito profonde trasformazioni strutturali tali da incidere anche sull’operato dei singoli comuni. Rispetto ad altre realtà dell’Alta Italia il territorio cremonese evidenziava una marcata frammentazione stante il persistere di numerose piccole amministrazioni. Il quadro complessivo del territorio mostrava l’esistenza di ben 23 comuni sotto i 1.000 abitanti ( di cui 19 sul cremasco), 55 dai 1.000 ai 2.000, 52 dai 2.000 ai 4.000, 8 fra i 4.000 e i 9.000 e solo 4 oltre i 10.000.

A. GROPPALI: “SOTTO I 5000 ABITANTI UN COMUNE NON REGGE”– Fra coloro che dibattevano circa l’urgenza di porre mano ad un riassetto dei comuni cremonesi si distingueva il professor Alessandro Groppali, noto cattedratico universitario nonché politico di lungo corso nella scena cittadina. Nel suo ruolo di vice-presidente del Consiglio Provinciale presentava una mozione, inoltrata nel luglio del ’23, finalizzata alla formazione di una apposita commissione che studiasse la questione e formulasse una proposta di aggregazioni anche con, se necessario, il varo di unioni “coattive”.

La sua proposta non trovava seguito in quanto la Deputazione provinciale, stante anche la complessità della materia, riteneva opportuno rinviare l’adozione di qualsiasi provvedimento in attesa di un intervento del Governo a regolare la materia. Groppali misurava il suo intento in un’ottica di rivisitazione complessiva dei vari enti operanti sul territorio tanto da ricordare come anche …”le provincie, che dovranno essere sostituite dalle regioni, oppure assurgere a più alta importanza colla delegazione di nuove funzioni, e per tacere delle istituzioni di beneficenza, che pure dovranno essere rinnovate radicalmente per trasformarsi da enti caritativi in organi di prevenzione e di assistenza sociale, anche i Comuni hanno bisogno di essere con nuovi criteri ordinati, se non si vuole che l’onda della rivoluzione fascista abbia a passare sul nostro paese come l’acqua sul marmo.”

L’ESEMPIO DI SCANDOLARA RAVARA E CASTELPONZONE – L’attenzione del Groppali verso l’argomento aggregazioni, nonostante la battuta d’arresto opposta dal consesso provinciale, non scemava di certo; nello stesso anno si premuniva di sviluppare un’ipotesi di fusione fra tre comuni posti in territorio casalasco. Nello specifico si trattava di analizzare l’adesione di Scandolara Ravara (2.025 ab.), S. Martino del Lago (1.339 ab.) e Castelponzone (1.039 ab.) ad un progetto volto a valutare la possibile integrazione delle suddette comunità. Il politico cremonese era giunto alla determinazione che …”comuni che abbiano una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti non hanno più ragione d’essere, perché non si trovano più in condizioni, per la mancanza dei mezzi finanziari necessari, nè di corrispondere alle esigenze locali nè di adempiere alle richieste finanziarie di ordine statale.”

Nella relazione predisposta dal Groppali e controfirmata per la Giunta di Castelponzone dal dottor Giuseppe Rivaroli, si evidenziava il desiderio di questo comune la cui …”aspirazione costante ed ardente era quella di fondersi con questi comuni contermini per avere un più ampio respiro di vita.”
Castelponzone fra le comunità in oggetto rappresentava quella caratterizzata da una storia di maggior prestigio e dotata di una valenza economico-commerciale assai sviluppata; il comune, infeudato da secoli ad opera di una prestigiosa famiglia nobiliare cremonese, aveva sempre costituito una sorta di eccellenza imprenditoriale tale da divenire un polo attrattivo per l’intero circondario. Il suo mercato, la presenza di numerose botteghe, raccolte sotto i famosi portici della contrada principale, lo configuravano come una specie di centro commerciale ante litteram; durante il periodo napoleonico, proprio in forza del ruolo esercitato, era stato prescelto come capoluogo di circondario.

CASTELPONZINE INDEBITATO – Il prestigio accumulato nei secoli subiva nel corso dell’Ottocento, per una serie di concause, un lento ma inesorabile declino; la decadenza economica finiva ovviamente per riflettersi anche in ambito amministrativo. Il comune di Castelponzone, annoverato fra i più piccoli enti dell’intera provincia, risultava anche alquanto penalizzato dalla sua ridotta estensione territoriale che lo privava dei preziosi introiti derivanti dalle imposte sui terreni agricoli. Per paradosso i servizi che esso elargiva con corrispondenti oneri finivano a vantaggio dei residenti delle località limitrofe. A Castelponzone, ad esempio, risiedevano, per maggior prestigio, i più facoltosi proprietari terrieri di Scandolara Ravara che ovviamente finivano per versare le tasse a quest’ultimo comune.

La Commissione provinciale che, in seguito alle nuova legge amministrativa del 1865, aveva ridisegnato i confini dei territori si era limitata ad aggregare i piccoli comuni di Caruberto e Cà de’ Soresini al vicino S. Martino del Lago senza spingersi ad aggregazioni più vaste. Il Consiglio comunale di Castelponzone, già nel 1869, aveva deliberato all’unanimità di aggregarsi, stante la gravezza delle proprie imposte, a qualche realtà limitrofa rinunciando alla pretesa di mantenere la residenza comunale; a stretto giro giungeva la deliberazione di Scandolara Ravara che rigettava, al pari di quelle pervenute dagli altri comuni di prossimità, l’istanza avanzata vista la nota gravosa situazione finanziaria in cui versava il comune di Castelponzone. Lo stesso, nel 1872, inoltrava una nuova richiesta, direttamente presso il Ministero degli Interni, affinché si giungesse ad una unione coattiva con Scandolara Ravara ma il Consiglio provinciale non ritenne sussistere gli estremi per ratificare tale procedura.

Nel primo Dopoguerra la situazione finanziaria di Castelponzone risultava ulteriormente peggiorata; mentre i paesi confinanti applicavano imposte contenute che risultavano comunque in grado di garantire i servizi necessari, Castelponzone si vedeva costretto ad applicare aliquote al massimo di quanto consentito che finivano per gravare a carico dei circa 300 abbienti del paese. Oltre al gravame fiscale diretto si rendeva spesso necessario assumere gravosi mutui per garantire servizi che altrove venivano coperti con la tassazione ordinaria.

Fra i tre comuni interessati all’eventuale fusione i rapporti risultavano alquanto complessi e venati da pregiudizi mai sopiti; nella relazione si ricordava come lo stato delle cose era tale che …”ha prodotto un riflesso psicologico nell’antagonismo che si è creato fra i tre comuni e che è fonte di dissensi, di dispetti e di rancori campanilistici, per cui si arriva persino a sabotare le migliori iniziative di Castelponzone, come è avvenuto di recente a proposito dell’ultima nostra mostra bovina riuscita splendidamente con grande soddisfazione pur con l’assenza degli agricoltori di Scandolara che pur si muovono verso fiere anche più lontane.”

Nonostante tali dissapori l’aggregazione in realtà avrebbe potuto comportare la creazione di una entità amministrativa dotata di un certo equilibrio fra i comparti agricoli, propri a Scandolara e S. Martino, e quello commerciale maggiormente radicato a Castelponzone dove, tra l’altro, sussisteva una importante attività di cardatura che impiegava oltre duecento addetti; in aggiunta si sottolineavano le evidenti economie di scala che si sarebbero prodotte razionalizzando gli uffici e le figure professionali presenti nelle varie comunità. Dall’unione sarebbe sorto un comune con 4.403 abitanti ed una superficie di oltre ventisette chilometri quadrati; il comune di Castelponzone, baricentrico rispetto agli altri due, sarebbe stato designato come sede della nuova amministrazione avente pertanto come denominazione il titolo di “Castelponzone ed Uniti.”

La proposta avanzata dal comune di Castelponzone al Consiglio provinciale non trovava poi seguito e pertanto la situazione dei tre comuni rimaneva invariata; dieci anni dopo invece il processo di fusione fra Scandolara e Castelponzone giungeva finalmente a compimento. Il parere congiunto espresso dai due podestà, avvallato dall’assenso del Consiglio provinciale, sanciva la nascita di un nuovo comune (1934) nella cui dizione toponomastica il termine Castelponzone veniva per sempre cancellato. La motivazione prevalente che aveva indotto all’aggregazione sottolineava ancora la catastrofica condizione finanziaria del comune di Castelponzone…

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