Papa Francesco al Tg1: “La guerra è una sconfitta, servono due Stati”
(Adnkronos) –
“Ogni guerra è una sconfitta. Non si risolve nulla con la guerra. Niente. Tutto si guadagna con la pace, con il dialogo. Sono entrati nei kibbutz, hanno preso ostaggi. Hanno ucciso qualcuno. E poi la reazione. Gli israeliani andare a prendere quegli ostaggi, a salvarli. Nella guerra uno schiaffo provoca l’altro”. Così Papa Francesco, nell’intervista esclusiva rilasciata al direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci, si esprime sul conflitto in Medio Oriente e sugli eventi dell’ultimo mese, a partire dall’attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre.
“Uno forte e l’altro più forte ancora e così si va avanti. La guerra è una sconfitta. Io l’ho sentita come una sconfitta in più. Due popoli che devono vivere insieme – dice Francesco – Con quella soluzione saggia: due popoli due Stati. L’accordo di Oslo: due Stati ben limitati e Gerusalemme con uno status speciale”.
Ha sentito i religiosi che sono rimasti a Gaza? “Li chiamo tutti i giorni e c’è anche una suora argentina lì e il parroco era a Betlemme nel momento che è scoppiato tutto questo e non è riuscito a tornare perché era andato a Betlemme ad acquistare medicine. Adesso è a Gerusalemme ma non può entrare. E il viceparroco egiziano, padre Yussuf lo chiamo tutti i giorni e mi dice ‘ma questo è terribile, adesso l’ultima cosa è che hanno bombardato l’ospedale ma a noi in parrocchia ci rispettano, in parrocchia abbiamo 563 persone, tutti cristiani e anche qualche musulmano. Bambini ammalati dei quali si prendono cura le suore di Madre Teresa’”.
“In questa piccola parrocchia si trovano 563 persone. L’ho chiamato prima di venire e tutti i giorni cerco di accompagnarli. Per il momento, grazie a Dio, le forze israeliane rispettano quella parrocchia”, racconta Francesco.
Teme un’escalation mondiale? “Sarebbe la fine di tante cose e di tante vite. Io penso che la saggezza umana fermi queste cose. Sì, c’è la possibilità ma … e a noi questa guerra ci tocca per quello che significa Israele, Palestina, la Terra Santa, Gerusalemme ma anche l’Ucraina ci tocca perché è vicina. Ma ci sono tante altre guerre che a noi non toccano: Kivu, lo Yemen, il Myanmar con i Rohingya che sono dei martiri. Il mondo è in guerra ma c’è l’industria delle armi dietro”.
“Purtroppo l’antisemitismo rimane nascosto. Lo si vede, giovani per esempio, di qua e di là che fanno qualche cosa. E’ vero che in questo caso è molto grande ma c’è qualche cosa sempre di antisemitismo e non è sempre sufficiente vedere l’Olocausto che hanno fatto nella seconda guerra mondiale, questi 6 milioni uccisi, schiavizzati e non è passato. Purtroppo, non è passato. Non saprò spiegarlo e non ho spiegazioni è un dato di fatto che io lo vedo e non mi piace”, dice ancora il Pontefice.
La situazione in Medio Oriente rischia di far passare in secondo piano la guerra tra Ucraina e Russia. “Il popolo ucraino è un popolo martire, ha avuto persecuzioni al tempo di Stalin, molto forti. E’ un popolo martire. Ho letto un libro commemorativo su questo e sul martirio terribile è stato terribile, è stato un popolo che soffre tanto e adesso qualsiasi cosa gli fa rivivere quello io li capisco e ho ricevuto il presidente Zelensky, capisco, ma ci vuole la pace. Fermatevi! Fermatevi un po’ e cercate un accordo di pace, gli accordi sono la vera soluzione di questo. Per ambedue”, dice il Papa.
“Il secondo giorno della guerra in Ucraina sono andato all’ambasciata russa, ho sentito che dovevo andare lì e ho detto che ero disposto ad andare da Putin se serviva a qualcosa. L’ambasciatore bravo, ha finito adesso, un funzionario della Russia. E da quel momento ho avuto un buon colloquio con l’ambasciata russa. Quando io presentavo dei prigionieri, io andavo lì e loro liberavano, hanno liberato anche da Azov”, afferma.
“Insomma l’ambasciata si è comportata molto bene nel liberare le persone che si potevano liberare. Ma il dialogo si è fermato lì. In quel momento mi scrisse Lavrov: ‘Grazie se vuole venire, ma non è necessario’. Io volevo andare da entrambe le parti”, racconta Francesco.
“L’Europa deve essere solidale”, dice il Papa rispondendo a una domanda sui migranti. “Io sono figlio di migranti ma in Argentina siamo 46 milioni credo e soltanto indigeni proprio lì sono 6 milioni non di più. Gli altri tutti migranti. E’ proprio un paese fatto di migrazioni: italiani, spagnoli, ucraini russi Medio Oriente tutti. E tanti del Medio Oriente, per esempio in Argentina gli diciamo turchi perché arrivavano con il passaporto turco del grande impero ottomano e io sono abituato a vivere in un paese di migranti. Il mio papà lavorava alla Banca di Italia e andato migrante lì, è rimasto lì ed è morto lì, ha fatto la famiglia lì. Per me l’esperienza della migrazione è una cosa esistenziale forte, no con la tragedia di adesso. Ci sono state migrazioni brutte nel dopoguerra ma oggi è sempre una cosa molto drammatica e sono cinque i paesi che soffrono più la migrazione: Cipro, Grecia, Malta, Italia e Spagna”, sottolinea il Papa.
“Sono quelli che ricevono di più. Poi quando questi migranti dall’Africa vengono dalla Libia vediamo le crudeltà dei lager libici, c’è una crudeltà lì, terribile, io sempre raccomando di leggere un libro che scrisse uno di questi migranti che ha atteso più di tre anni per arrivare dal Ghana alla Spagna: si chiama “Fratellino”, “Hermanito” in spagnolo. Un breve libro ma racconta le crudeltà delle migrazioni. Questo che abbiamo visto in Calabria ultimamente, terribile. L’Europa deve essere solidale con questi, non possono questi cinque paesi prendere tutti e i governi dell’Europa devono entrare in dialogo. Ci sono piccoli paesi vuoti con dieci, quindici anziani e hanno bisogni di gente che vada a lavorare lì. C’è una politica migratoria – sottolinea – con i passi della migrazione: riceverli, accompagnarli, promuoverli e inserirli nel lavoro. Che si inseriscano. E una politica migratoria del genere costa. Ma io penso alla Svezia che ha fatto un bel lavoro al tempo delle dittature latinoamericane”.
“E’ pieno di latinoamericani lì e li hanno sistemati subito: arrivava il migrante, il giorno dopo a studiare la lingua e poi a sistemare con il lavoro. Integrare. Ma se uno non integra il migrante c’è un problema. A me sempre viene in mente l’attacco terroristico all’aeroporto Zaventem in Belgio: i ragazzi erano tutti migranti ma migranti non inseriti, erano migranti chiusi e questo è brutto. Una politica migratoria deve essere costruttiva per il bene del paese e per il bene loro e anche paneuropea. Mi è piaciuto quando la presidente della Commissione europea è andata lì a Lampedusa a vedere: questo mi piace perché sta cercando di prendersi questo”, spiega.
Il Papa andrà a Dubai per Cop 28. Francesco lo rivela in un passaggio dell’intervista esclusiva rilasciata al direttore del Tg1. Papa Francesco lancia anche un appello per il creato: “Siamo ancora in tempo a fermarci. E’ in gioco il nostro futuro. Il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti. Ci vuole un po’ di responsabilità”
“Credo che partirò il primo dicembre fino al 3 dicembre. Starò tre giorni lì. Io ricordo che quando sono andato a Strasburgo, al Parlamento europeo, e il presidente Hollande ha mandato la ministra dell’ambiente Segolene Royal a ricevermi e lei mi ha chiesto: ‘Ma lei sta preparando qualche cosa sull’ambiente? Lo faccia prima dell’incontro di Parigi. Io ho chiamato alcuni scienziati qui, che si sono affrettati, è uscito ‘Laudato sì’ che è uscito prima di Parigi. E l’incontro di Parigi è stato il più bello di tutti. Dopo Parigi tutti sono andati indietro e ci vuole coraggio per andare avanti in questo. Dopo ‘Laudato si’ hanno chiesto appuntamento cinque funzionari importanti nel campo petrolifero. Tutti per giustificarsi… ci vuole coraggio”.
“Un paese che è un’isola nell’oceano Pacifico sta acquistano terre in Samoa per traslocarsi perché in venti anni non esisteranno più perché il mare cresce – racconta Francesco – Ma noi non crediamo a questo. Siamo ancora in tempo a fermarci. E’ in gioco il nostro futuro. Il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti. Ci vuole un po’ di responsabilità. A me piace parlare dei pescatori di san Benedetto del Tronto. Bravi ragazzi sono venuti a trovarmi e a dirmi che non so quante tonnellate di plastica prendono e non le ributtano in mare. Perdono soldi per sistemare e pulire un po’ il mare. Noi siamo stati brutti con la custodia del creato”.