Cronaca

L'ex ministro Cartabia a Cremona
"Così è nata la giustizia riparativa"

Francesco Monterosso, responsabile CSV Cremona, Marta Cartabia, Adolfo Ceretti
Il pubblico in aula magna del campus santa Monica
Marta Cartabia, Adolfo Ceretti e Francesco Centonze
Davide Longhi, Grazia Grena, Adolfo Ceretti

Ultimo appuntamento della serie di incontri sul tema “Disarmare il dolore – Attraversare i conflitti nell’orizzonte della giustizia riparativa”, mercoledì pomeriggio nell’aula magna dell’Università Cattolica, campus Santa Monica.

A parlare di questo strumento che si interseca con il sistema penale tradizionale, dando la possibilità a chi si è reso colpevole di un reato di  riparare le conseguenze del suo gesto attraverso l’incontro con la vittima, è stata Marta Cartabia – ordinaria di Diritto costituzionale italiano ed europeo all’Università Bocconi, presidente emerito della Corte costituzionale – che da ministro della Giustizia tra 2020 e 2022 ha promosso la legge di riforma che – tra l’altro – ha fornito il quadro giuridico entro cui si muove questa pratica.

Dialogando con Adolfo Ceretti, professore di Criminologia e docente di Mediazione reo-vittima all’Università di Milano-Bicocca, ha ripercorso la genesi di questo istituto, riconoscendo proprio nelle esperienze di mediazione già in essere tra chi ha subito un reato e chi lo ha perpetrato, un modello che potesse soddisfare l’obiettivo ultimo della pena, ossia la rieducazione del reo e il suo reinserimento sociale.

L’incontro, moderato da Francesco Centonze, ordinario di Diritto penale presso la Facoltà di Economia e Giurisprudenza dell’Università Cattolica è stato organizzato dalla rete di soggetti che da tempo collaborano per dare attuazione alle diverse forme di giustizia riparativa, consistenti ad esempio nell’inserimento lavorativo dei detenuti: capofila è il Comune di Cremona, soggetti attuatori sono Csv Lombardia Sud Ets, Ufficio Pastorale sociale e lavoro della Diocesi, Caritas Cremonese e Consorzio Solco Cremona. 

Il sistema penale ha dei limiti, ha detto Cartabia, impensabile che solo nelle aule di tribunale possano arrivare tutte le risposte che una vittima chiede alla giustizia.  “Questo scarto per me è sempre stato un tormentone. A un certo punto della mia vita è arrivata come una meteora questa esperienza di Ceretti, la prima grande esperienza di giustizia riparativa in Italia. Ma è stata la testimonianza di Grazia che ha costituito per me il vero punto di svolta”. Un riferimento diretto a Grazia Grena, in prima fila in aula magna, un passato da terrorista negli anni Settanta in Prima Linea che non ha mai voluto rinnegare, ma che ha espiato scontando la pena di 8 anni, prima in carcere e poi in semilibertà, fino al suo ritorno nella società. Da anni si batte per la giustizia riparativa oltre che per i diritti dei detenuti.

Dopodichè, ha continuato Cartabia, “mi è sembrato naturale proporre non solo la legge, ma anche gli strumenti amministrativi per attuarla”, esprimendo soddisfazione per il recente provvedimento che prevede l’apertura di almeno un centro di giustizia riparativa in ogni corte d’appello.

“Siamo in un’epoca e in un clima di grandi conflitti – ha aggiunto – ci sono sì le grandi questioni geopolitiche, ma la radice è la stessa che troviamo nei nostri dissidi quotidiani. Quante volte di fronte a tensioni con altre persone preferiamo distogliere lo sguardo e non incontrarle più. E invece c’è la necessità di scongelare i rapporti, credo che questo sia uno dei bisogni più alti del nostro tempo”.

Chi ha commesso un reato probabilmente si rende conto di averlo fatto solo quando viene messo di fronte al dolore provocato, “ed è importante – ha aggiunto la giurista – che l’assunzione di responsabilità  sia presa davanti alla vittima”.
“Questo è un punto spesso oggetto di equivoci, qualcuno pensa che la giustizia riparativa sia una scorciatoia. La cosa non mi scandalizza, ma nel momento in cui una persona si prende le sue responsabilità di fronte alla vittima, sfido chiunque a dire che questa non è una giustizia esigente”.

Ceretti ha poi raccontato, nel rispetto della privacy, un esempio di giustizia riparativa che ha portato a dei risultati, attingendo dalle sue esperienze di mediazione. La vicenda è quella di un minorenne dell’hinterland milanese, un ragazzo che “ciondola” tutto il giorno per poi sballare di sera tra sostanze e discoteche. Un giorno incontra una ragazza di buona famiglia, iniziano a frequentarsi, si piacciono, lui inizia a vedere la possibilità di una vita diversa: si iscrive alla scuola serale, lavora da un meccanico, prende il diploma. Ma il paese è piccolo, la gente parla molto di quel legame tra due ragazzi provenienti da contesti così diversi. E un poliziotto avverte la famiglia di lei che quel ragazzo, insomma, è poco raccomandabile. Alla ragazza viene così impedito di continuare la relazione e per reazione il minorenne ferisce gravemente il poliziotto che aveva infranto le sue aspettative sul futuro, colpendolo con una mazza da baseball. Finisce al centro penale minorile e il caso viene inviato in mediazione, durante la quale ragazzo e poliziotto vengono messi l’uno di fronte all’altro, davanti anche a una ventina di persone di quella comunità, altri poliziotti e altre famiglie. “Qui – commenta Ceretti – l’intervento di una sanzione non avrebbe dato nessun livello di spessore alla complessità di quanto accaduto.
La cosa straordinaria è che la comunità si è allarmata ma ha anche riflettuto sul senso di quanto accaduto. Il processo poi ha tenuto conto dell’incontro di mediazione e la parte penale è proseguita con la messa alla prova del ragazzo. Rimettersi in gioco senza più guardare l’altro come ‘il male’, questa è la nostra scommessa”.

L’assessore alle Politiche Sociali Marina della Giovanna ha messo in relazione i possibili benefici della giustizia riparativa nei confronti dei giovanissimi autori dei reati che hanno tanto allarmato Cremona tra fine 2024 e prima metà del 2025. Uno spunto raccolto da Cartabia: “La giustizia riparativa è applicabile a tutti, non ci sono barriere di età o fasi processuali che la possano precludere, ma per i giovani è un’occasione ancora più significativa. C’è spesso inconsapevolezza da parte di tanti ragazzi, che finiscono nel circuito penale senza rendersene conto. ‘Ma io che male ho fatto?’, si sentono dire dopo magari aver commesso una rapina per procurarsi quelle scarpe firmate che hanno visto addosso ad altri e che loro non si possono permettere”. E allora per loro può essere uno strumento efficace, molto più del carcere, essere messi di fronte agli effetti che la loro azione ha avuto, al dolore altrui.

“Non possiamo, di fronte a nostri giovani, rassegnarci al fatto che il destino in cui incappano, magari per motivi futili inizialmente, sia segnato per sempre da un dentro e fuori dal carcere“, ha concluso Cartabia, ammettendo che siamo solo agli inizi e che tanta strada, soprattutto su fronte della formazione dei mediatori e del cambio culturale, deve ancora essere percorsa.

Al termine dell’incontro il presidente di Solco Cremona, Davide Longhi, ha omaggiato i relatori con un cesto contenente le confetture e le conserve prodotte dai detenuti protagonsti dell’esperienza di inserimento lavorativo fuori da carcere presso l’azienda agricola Rigenera della coop. Nazareth.
Giuliana Biagi

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