Un racconto di Laura Marcon
Gatti e topi
Un racconto di Laura Marcon
Augusto era particolarmente scontroso in quella mattinata di maggio. Non che fosse una novità per la madre e la sorella, ma quel giorno pareva più scontroso del solito. Che fosse capitato qualcosa? Non era dato saperlo. Augusto conversava a monosillabi e della sua vita non raccontava quasi nulla; a malapena condivideva con il padre notizie sportive. Rimaneva in quella casa non perché non avesse abbastanza soldi per andarsene (lavorava come caporeparto in una grossa azienda tessile), ma unicamente perché gli era comodo: la madre puliva, lavava i panni, stirava, cucinava, faceva la spesa, accudiva i loro quattro gatti e la cagnetta e dava da mangiare anche al pesce che la madre le aveva lasciato in eredità.
Con la sorella Augusto aveva un pessimo rapporto: lei era sensibilmente più giovane e nonostante questo si faceva carico di tutta una serie di faccende che Augusto ignorava, ma di cui beneficiava. La ragazza, infatti, aveva scovato un metodo garantito per risultare la prediletta agli occhi della madre e un po’ se ne vantava. Probabilmente la cosa la faceva stare in pace con la coscienza, ma ne pagava il prezzo con la fatica. Per i genitori lei era la «cara figliola», altro che quel «disgraziato di Augusto, capace solo di mangiare e dormire!». La cosa più irritante del figlio era quel suo modo così disinteressato di rendersi piacevole. Pensava che tutto gli fosse dovuto, ringraziava solo quando capitava e giocava al gatto e al topo con la madre, spesso punzecchiandola proprio sulle questioni che sapeva l’avrebbero adirata maggiormente.
Quando squillò il telefono per la prima volta, i tre erano nel mezzo di un’animata discussione. Nessuno sentì: i toni erano troppo accesi. La sorella accusava Augusto di aver lasciato l’auto in mezzo al vialetto impedendole di uscire. Augusto aveva replicato che aveva dovuto lasciarla lì per poter tornare velocemente al lavoro dopo pranzo, urgenza che lei non poteva comprendere dato che non aveva un lavoro.
Il telefono squillò nuovamente. Questa volta la madre se ne accorse e chiese alla figlia di andare a rispondere, avendo le mani nell’insalata bagnata. La giovane chiese perché dovesse andarci proprio lei, dato che anche Augusto aveva le mani libere. La madre alzò gli occhi al cielo e chiese ad Augusto di rispondere. Il giovane disse che aveva appena cominciato ad assaggiare la zuppa e non si sarebbe alzato. La madre grugnì. Nel frattempo il telefono smise di suonare, facendo infuriare la donna. «Ecco, m’avete fatto perdere la chiamata: magari era vostro padre!»
I due si guardarono in cagnesco ma nessuno replicò. La madre disse ad Augusto che era più fastidioso del solito. Il ragazzo continuò a sorseggiare la zuppa in silenzio. Rivolta alla figlia, la madre aggiunse che se voleva fare i dispetti al fratello almeno si premurasse che non ricadessero su di lei. Il telefono ricominciò a squillare. La madre questa volta fece per asciugarsi le mani ma la ragazza, mossa dai sensi di colpa, si precipitò a rispondere. Qualche attimo al telefono in silenzio, poi una risata sonora. Mise giù la cornetta e annunciò a gran voce ad Augusto che era proprio giunto il momento di spostare l’auto, tanto a lavoro non ci sarebbe tornato tanto presto: era appena stato licenziato.
