Cronaca

Riforma dell'ordinamento penitenziario. Gli avvocati incrociano le braccia

Avvocati penalisti in sciopero nella giornata di oggi per protesta contro la condizione carceraria del Paese. L’astensione è stata decisa dalla Giunta dell’Unione delle Camere Penali (UCPI) con delibera del 20 giugno scorso.

Ecco il testo inviato dalla Camera Penale della Lombardia Orientale, di cui fa parte la Camera Penale di Cremona e Crema “Sandro Bocchi”:

L’esecuzione penale in Italia ha imboccato una strada buia e senza uscita, costellata da sistematiche violazioni dei diritti umani. L’attuale Governo dimostra uno stato confusionale e distruttivo sui temi della detenzione che desta allarme e preoccupazione, perché in totale contrasto con i principi costituzionali e con le più elementari regole di un Paese civile. In nome di una idea sgrammaticata di “certezza della pena”, si insegue un consenso popolare costruito sulla sollecitazione delle emotività più rozze e violente della pubblica opinione: il detenuto “marcisca in carcere”. Una vocazione “carcero-centrica” in spregio della Costituzione, che non certo a caso fa riferimento alle “pene” (art. 27) e non alla “pena”: dunque non solo carcere, ma anche altre sanzioni e misure che possano responsabilizzare il condannato in un percorso punitivo-rieducativo che consenta il suo recupero.

La Riforma dell’Ordinamento Penitenziario, chiesta dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la sentenza “pilota-Torreggiani” dell’8 gennaio 2013 e declinata con specificità dei temi da affrontare e rivalutare con la Legge Delega N.103/2017, dopo l’irresponsabile battuta d’arresto impressa dal precedente Governo, è stata definitivamente affossata dall’attuale maggioranza. I Decreti Legislativi emanati hanno reso operativa solo una minima parte del lavoro delle Commissioni Ministeriali chiamate ad indicare percorsi di modernizzazione del sistema detentivo. E quel poco che è rimasto non potrà trovare concreta applicazione perché non si è intervenuti per eliminare l’ingravescente sovraffollamento. Non si è voluto mettere mano all’anacronistico sistema delle ostatività, al contrario implementandolo, così comprimendo la discrezionalità dei Magistrati di Sorveglianza nella concessione di misure alternative. Ed ancora,non si è voluta realizzare la riforma sull’“affettività”, che avrebbe consentito una detenzione più serena e rispettosa di elementari diritti del detenuto e dei suoi familiari.

Alla decisione politica di sminuire, attraverso l’emanazione dei decreti delegati, la portata della Legge delega di riforma dell’ordinamento penitenziario varata nella precedente legislatura è corrisposta l’introduzione di nuove ostatività (c.d. Spazza-corrotti) e l’inasprimento irrazionale delle pene (decreto sicurezza e decreto sicurezza bis, voto di scambio).

Un sistema tutto incentrato sul reato e non sulla persona, come se dentro le carceri non vi fosse un essere umano, ma solo un’astratta fattispecie di reato.I dati statistici del Ministero della Giustizia ci rendono un quadro impietoso. La quasi totalità degli istituti penitenziari presenta un sovraffollamento oltre il livello di guardia. La media nazionale, in continuo aumento, sfiora il 130%. Un solo medico di base ogni 315 detenuti invece di un medico ogni 150. Piante organiche del tutto insufficienti con solo 930 assistenti sociali e 999 educatori per circa 60.000 detenuti. Sono cifre allarmanti che denunciano la materiale impossibilità di assicurare quel trattamento individualizzato che deve consentire il reinserimento sociale del condannato.

Quanto viene annunciato sia dal Ministro della Giustizia che dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria nelle loro linee programmatiche e nei loro interventi pubblici –più carcere, meno misure alternative –è dunque contrario al percorso di riforma che si era intrapreso e che ci veniva chiesta dall’Europa. La proposta sbandierata della costruzione di nuove carceri, come risposta al sovraffollamento, non solo è ideologicamente errata, ma certamente non è attuabile in tempi brevi, necessita di risorse enormi che notoriamente non ci sono e soprattutto non risulta nemmeno genericamente abbozzata dal Governo.

L’Unione Camere Penali Italiane, con l’Osservatorio Carcere, ha più volte denunciato -inascoltata-la disastrosa ed esplosiva condizione carceraria del Paese.Nel 2018 sono morti 148 detenuti, tra questi ben 67 suicidi. Nel 2019, ad oggi, 60 morti, tra questi 20 suicidi. La media è quella di un decesso ogni 3 giorni.L’assistenza sanitaria è negata quasi dovunque e per i ricoveri urgenti in ospedale spesso non vi è possibilità di effettuare le traduzioni. La forzata convivenza di più persone in piccoli ambienti umidi, malsani, in pessime condizioni igieniche, alimenta virus e malattie, che con l’attuale caldo estivo trovano ulteriore possibilità di propagarsi mentre il DAP si preoccupa di diramare una circolare sull’uso della televisione (7 ore per notte), che tuteli la quiete negli istituti penitenziari per incentivare “salubri ritmi sonno-veglia”.

Se la pena deve consistere quasi esclusivamente nella perdita o nella drastica riduzione della libertà, essa non può certo pregiudicare la dignità, il diritto alla salute ed il diritto alla vita del detenuto, quale che sia la gravità del delitto commesso,come ribadito di recente dalla sentenza “Viola c. Italia” della CEDU sull’abnormità dell’ergastolo ostativo.

La situazione attuale e la scomparsa di qualsiasi speranza in un pur minimo cambiamento è sfociata in rivolte all’interno di numerosi istituti di pena. Trento, Rieti, Sanremo, Spoleto, Campobasso, Agrigento, Trapani, Barcellona, Poggioreale rappresentano gli ultimi rintocchi della campanella di allarme: un suono inascoltato che scuote, da Nord a Sud, l’intero Paese.

I detenuti, pur assuefatti a condizioni di vita disumane, ma esasperati per la mancanza di acqua o per il mancato soccorso ad un malato grave, hanno violentemente protestato, spesso devastando interi padiglioni e/o appiccando incendi. Azioni che vanno certamente non condivise, ma che dovrebbero far accendere i riflettori su un sistema marcio, che deve immediatamente trovare la strada di una trasformazione costituzionalmente orientata e che non può essere risolto con l’immediato trasferimento dei rivoltosi in strutture punitive.

Occorre al più presto metter mano ad una serie di iniziative in grado di umanizzare la pena e di riportare l’esecuzione penale nella legalità costituzionale come ci viene richiesto anche dalle giurisdizioni sovranazionali.

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