Cronaca

Nessuna tentata truffa allo
Stato. Poliziotto assolto

La sede della polizia stradale

Non tentò di truffare lo Stato. Era l’accusa che ha fatto finire a processo un poliziotto della Questura di Cremona che secondo la procura aveva sostenuto falsamente di aver preso il Covid sul posto di lavoro quando invece si sarebbe contagiato a casa. Per quella vicenda, risalente a due anni fa, periodo della seconda ondata Covid, oggi il giudice ha emesso sentenza di assoluzione. “Il fatto non sussiste”. Per l’imputato, il pm aveva invece chiesto la condanna a otto mesi di reclusione per tentata truffa aggravata. La motivazione sarà depositata entro 60 giorni.

Per l’accusa, attestando falsamente di essere stato contagiato sul lavoro, quando invece avrebbe contratto il Covid in famiglia, e in particolare dalla figlia, il poliziotto, sindacalista, avrebbe cercato di ottenere il riconoscimento della causa di servizio, che ha un risvolto economico e quindi un indennizzo.

Il 25 agosto del 2021 l’imputato aveva presentato domanda all’ufficio competente, ma la dirigente non l’aveva firmata, in quanto il modulo era già stato compilato dal diretto interessato e non da capo dell’ufficio. Procedura non corretta, per cui tutto era finito sulla scrivania dell’allora questore Carla Melloni, la quale aveva avviato accertamenti amministrativi e aveva incaricato gli agenti della Squadra Mobile di svolgere le opportune indagini. Al termine delle verifiche erano emerse alcune incongruenze nelle date.

L’imputato, come ha ribadito anche oggi in aula, rilasciando dichiarazioni spontanee prima della sentenza, si è detto convinto “in buona fede” di aver preso il Covid da una collega che aveva incontrato nella caserma di via Massarotti, sede della polizia stradale, dove nel pomeriggio del 26 febbraio del 2021 era stato convocato per apporre una firma su una notifica urgente. Dai primi di febbraio lui era in malattia per altri motivi, quindi il pomeriggio del 26 era stato l’unico momento in cui era venuto in contatto con la Polizia di Stato, e in particolare con la vice sovrintendente dell’ufficio del personale.

Sarebbe stata proprio la collega, a detta dell’imputato, a contagiarlo. Oggi in aula il poliziotto ha raccontato di essere rimasto almeno una mezzora in quell’ufficio, “dove faceva molto caldo e dove tutte le finestre erano sbarrate. Non passava un filo d’aria”. Il poliziotto, che il 10 marzo era risultato positivo al Covid, ha sostenuto di essersi intrattenuto a parlare con la vice sovrintendente e di essere poi venuto a sapere che anche la collega era stata contagiata dal virus. Sentita a suo tempo in aula, la collega aveva sostenuto di aver accusato i primi sintomi il 28 febbraio e che il  2 marzo successivo il tampone aveva dato esito positivo. La testimone aveva ricordato di aver salutato l’imputato e di aver scambiato due parole con lui, ma per pochi minuti e a distanza di 4 o 5 metri, con indosso la mascherina.

Nella causa di servizio l’imputato aveva dichiarato di aver avuto lui per primo i sintomi il 7 marzo, seguito, 24 ore dopo, dalla figlia.  Secondo la documentazione clinica acquisita da Ats e secondo la catena di contagio tracciata, invece, il paziente “zero” sarebbe stata proprio la figlia. “Non si capiva dove mia figlia avesse preso il Covid”, ha detto l’imputato nelle sue dichiarazioni. “In quei giorni, nè a scuola, nè nelle sue attività sportive c’era stato alcun caso. Quando ho saputo che anche la collega era positiva mi sono convinto che fossi stato contagiato da lei in quell’occasione”.

Il poliziotto ha anche raccontato di quella conversazione avuta con un suo collega sindacalista che gli aveva detto di aver contratto il Covid al lavoro e di avere fatto causa di servizio. “A quel punto l’ho fatto anche io, ma ero in perfetta buona fede. Non ho mai avuto alcuna intenzione di truffare l’amministrazione“. Di “assoluta mancanza di dolo” nel comportamento dell’imputato ha parlato anche il difensore, che ha sottolineato ancora una volta che quella domanda era stata fatta in assoluta buona fede, essendo l’imputato convinto che il momento del contagio fosse stato proprio quel 26 febbraio negli uffici della stradale.

Sara Pizzorni

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