Cronaca

Privò la figlia della sua eredità:
spariti 150.000 euro, condannata

Aveva privato la figlia della sua parte di legittima come erede, traendo in inganno la funzionaria della banca e inducendola a compiere un bonifico sul suo conto corrente di 150.000 euro provenienti dal conto corrente del marito, notissimo caldarrostaio cremonese, Ermenegildo Fantoni, scomparso il 4 dicembre del 2016 a 69 anni. Con l’accusa di truffa, oggi il giudice ha condannato l’imputata, moglie del defunto, ad una pena di otto mesi e 100 euro di multa, e al risarcimento di una provvisionale di 15.000 euro in favore della figlia.

L’avvocato Bencivenga

Oltre alla madre, la figlia aveva denunciato anche il fratello, finito anch’egli a processo, ma nei suoi confronti è stata emessa sentenza di assoluzione “per non aver commesso il fatto”. Per il figlio, anche il pm aveva chiesto l’assoluzione, mentre per la madre la condanna a un anno di reclusione e 100 euro di multa.

Il primo dicembre del 2016, un giovedì, l’imputata, oggi 76 anni, si era recata in banca chiedendo il trasferimento dal conto del marito al suo di 150.000 euro. La donna non era cointestataria, ma aveva la firma. Poteva quindi trasferire denaro a terzi, ma non a se stessa. Per farlo, c’era bisogno della firma del marito. La funzionaria dell’istituto di credito le aveva quindi consegnato il modulo per il trasferimento da far firmare al marito. L’imputata era tornata in banca il giorno successivo con il modulo firmato. Era venerdì, ma l’ordine del bonifico era partito lunedì 5 dicembre. Il giorno prima il marito era morto in ospedale in seguito a problemi respiratori.

L’avvocato Vezzoni

“Il trasferimento del denaro” ha detto il pm nella sua requisitoria, “è avvenuto in data successiva alla morte del marito, e solo nel 2019 la figlia ha scoperto che quei 150.000 euro, che come erede considerava la sua parte di legittima, erano spariti“. Per l’accusa, “madre e figlio avevano tergiversato e preso tempo, promettendole che avrebbero pensato loro a sistemare la questione dell’eredità, in realtà tenendola all’oscuro delle loro intenzioni, essendo lei già intestataria di alcuni immobili all’estero”. “Se non è provato il coinvolgimento nella vicenda del figlio”, ha aggiunto il pm, “che dalla funzionaria della banca era stato visto solo un paio di volte, lo è invece per la madre, che era in malafede”. Nel 2019, quando la figlia si era presentata in banca scoprendo cosa era successo, la funzionaria aveva contattato la madre chiedendole la restituire quei soldi, ma la donna si era rifiutata, dicendo che quel denaro le serviva. Per il legale della difesa, l’avvocato Alessandro Vezzoni, invece, l’imputata non avrebbe avuto alcun bisogno di architettare una truffa: “Avrebbe potuto girare i soldi a terzi, anche al figlio”.

E poi c’era il “nodo” della firma: per la procura, la firma del marito non era autentica. Lo ha confermato oggi il perito grafologo di Brescia Paola Sangiorgi, che ha esaminato la firma del defunto sul modulo della banca, confrontandola con quella su altri documenti originali. Una conclusione, la sua, contrastata dall’esperta della difesa, la cremonese Mariagrazia Lombardi, che ha esaminato la firma su una copia della cartella clinica, ritenendola invece autentica. Fondamentale, per la Lombardi, l’esame della firma sulla cartella clinica e il fatto di tenere conto delle condizioni del paziente, mentre la collega l’ha attaccata, sostenendo l’importanza di basarsi su documenti originali. Alla fine il giudice ha accolto la tesi dell’accusa.

A processo la figlia era parte civile con il legale Paolo Soldi, oggi sostituito dal collega Marco Bencivenga. La motivazione della sentenza sarà depositata entro 90 giorni.

Sara Pizzorni

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