Suicidio nel carcere di Cremona
Vittima un marocchino 31enne
Probabilmente l'uomo voleva solo inscenare un gesto dimostrativo, ma l'esito è stato fatale. A Cremona sono oltre 500 i detenuti; lo scorso anno quasi 300 i casi di autolesionismo. La presidente della Camera Penale Micol Parati: "Ce l'aspettavamo. La situazione è esplosiva, e non solo a Cremona. Dal Governo misure inadeguate".
Un uomo di 31 anni, originario del Marocco, in carcere a Cremona per presunte rapina e violenza sessuale, si è impiccato ieri pomeriggio verso le 19.15 in una cella della Casa Circondariale. Lo denuncia uno dei sindacati di Polizia penitenziaria, la Uilpa, attraverso il segretario generale Gennarino De Fazio. Salgono così a 62 i gesti estremi compiuti da detenuti in Italia dall’inizio dell’anno: soltanto una settimana fa, un altro suicidio a Prato, compiuto da un 27enne italiano.
Il macabro conteggio, chiarisce De Fazio, è il “frutto di risultanze acquisite attraverso nostri canali informativi, autonomi e indipendenti, e che coordiniamo costantemente con RadioCarcere (Radio Radicale), Ristretti Orizzonti e altre associazioni indipendenti. D’altronde, sono ben 14 i decessi di cui, sotto un profilo strettamente tecnico-giuridico, non è stata accertata la causa e che ben potrebbero derivare da suicidio sommandosi al dato ufficiale”.
Il sindacato Sappe: “Occorre ridurre il numero di reati per cui è previsto il carcere implementare delle pene alternative alla detenzione”
Secondo Alfonso Greco, segretario per la Lombardia del SAPPE – sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria – il 31enne “aveva sottratto un mestolo dalla cucina e aveva litigato con un altro detenuto, per questo era stato recentemente ripreso. Poi non è voluto rientrare in Sezione e ha attuato il gesto estremo, anche se sembrerebbe che abbia voluto fare un gesto dimostrativo ed invece è morto”.
“Spesso, questi eventi, oltre a costituire una sconfitta per lo Stato, segnano profondamente i nostri Agenti che devono intervenire”, afferma il segretario generale del Sappe Donato Capece. “Si tratta spesso di agenti giovani, lasciati da soli nelle sezioni detentive, per la mancanza di personale. Servirebbero anche più psicologi e psichiatri, vista l’alta presenza di malati con disagio psichiatrico. Spesso, anche i detenuti, nel corso della detenzione, ricevono notizie che riguardano situazioni personali che possono indurli a gesti estremi”.
“Siamo costernati ed affranti: un detenuto che si toglie la vita in carcere è una sconfitta per lo Stato e per tutti noi che lavoriamo in prima linea. Ma nessuno può sentirsi indifferente a queste morti. Il personale di Polizia Penitenziaria è sempre meno, anche a seguito di questi eventi oramai all’ordine del giorno. Stiamo vivendo un’estate di fuoco nelle carceri e servono immediatamente provvedimenti concreti e risolutivi: espulsioni detenuti stranieri, invio tossicodipendenti in Comunità di recupero e psichiatrici nelle Rems o strutture analoghe.
Il personale di Polizia Penitenziaria è allo stremo e, pur lavorando più di 10/12 ore al giorno, non riesce più a garantire i livelli minimi di sicurezza. Fino a quando potrà reggere questa situazione?”
Il sindacato ribadisce inoltre “che si rendono sempre più necessari gli invocati interventi urgenti suggeriti dal SAPPE per fronteggiare la costante situazione di tensione che si vive nelle carceri italiane: non è più rinviabile una riforma strutturale del sistema, anche ipotizzando eventualmente di ridurre il numero di reati per cui sia previsto il carcere e, conseguentemente, implementare delle pene alternative alla detenzione ed avviare una efficace struttura che consenta la loro gestione sul territorio. Il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria non si fa prendere per il naso da chi oggi pensa di avere scoperto l’acqua calda e i problemi carcerari sollecitando improbabili indulti e leggi svuota carceri, mentre per mesi ed anni non hanno detto una parola sui provvedimenti delle varie maggioranze politiche di ogni colore al Governo che, nel tempo, hanno destabilizzato il sistema e destrutturato la sicurezza nelle carceri”.
Micol Parati, Camera penale: “Non possiamo più far finta di niente”
Un problema sempre più grave quello dei suicidi in carcere in tutta Italia. Soltanto qualche settimana fa, a inizio luglio, uno sciopero di tre giorni dei penalisti contro “l’irresponsabile indifferenza della politica di fronte al dramma del sovraffollamento e dei fenomeni suicidari nelle carceri”.
Lo scorso 11 giugno anche a Cremona come nel resto d’Italia si era tenuta la “maratona oratoria” in cortile Federico II, con numerosi interventi per rappresentare alla società civile “le condizioni inumane dei detenuti e il degrado della realtà carceraria nella quale si vedono costretti a svolgere la propria attività lavorativa gli agenti di polizia penitenziaria e tutti gli operatori”.
“Non abbiamo più la pena di morte, ma in carcere si può morire”, questo lo slogan che più o meno riassumeva il senso della mobilitazione dei penalisti.,
“L’anno scorso nel carcere di Cremona”, aveva ricordato in quell’occasione la presidente della Camera Penale di Cremona e Crema Micol Parati, “su circa 500 detenuti si sono registrati 287 atti di autolesionismo. “Una situazione abnorme e inaccettabile”, aggiunge l’avvocato, dopo l’episodio venuto alla luce oggi. “Purtroppo la situazione carceraria è un’emergenza dimenticata. Era solo questione di tempo e poi, purtroppo, visto l’abnorme numero dei suicidi in carcere dall’inizio dell’anno, sarebbe successo anche a Cremona. E così è stato. Cronaca di una morte annunciata. Le Camere Penali si stanno mobilitando da mesi e da anni stanno chiedendo ai vari governi che si sono succeduti di modificare una situazione carceraria che ci rende un Paese che non rispetta nemmeno i diritti umani e i propri principi costituzionali. La situazione è tragica e non possiamo più aspettare, il sovraffollamento, la mancanza di attività all’interno delle strutture carcerarie e l’impossibilità di seguire un percorso rieducativo portano a queste continue morti. Non possiamo più far finta di niente, dobbiamo pretendere un intervento dello Stato e della Regione che modifichi radicalmente questa situazione”.
Condizioni di vita al limite dell’accettabile, dunque, che oltretutto non si rivelano efficaci visto che, statistiche alla mano, le recidive di chi sconta la pena con misure alternative alla detenzione, almeno in parte, commette poi altri reati all’incirca nel 19% dei casi, mentre tra chi la sconta completamente in carcere la percentuale sale a oltre il 65%.
“Il Terzo Settore è importante e fa molto nelle carceri – commenta ancora Parati – ma lo Stato non può contare solo sul volontariato, deve mettere in atto misure efficaci ed istituzionalizzate per la rieducazione di almeno una parte dei carcerati”. I numeri di chi oggi accede ai vari corsi rieducativi sono del tutto insufficienti anche a Cremona: poche unità a fronte di centinaia di reclusi. gbiagi