Morta di legionella, causa civile
Maxi risarcimento ai familiari
Vittima, un'anziana. La titolare di una locanda cremonese è stata condannata a risarcire figlia e nipoti della deceduta
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Complessivamente, un risarcimento di quasi 500.000 euro per la figlia e i tre nipoti di una 82enne cremonese morta dopo aver contratto la legionella in una struttura ricettiva della provincia di Cremona. Mentre il processo penale per omicidio colposo è ancora in corso, oggi si è conclusa la causa civile. Il giudice Daniele Moro ha disposto un risarcimento di 211.000 euro per la figlia della vittima, 88.000 euro per il nipote più giovane e 84.900 euro a testa per gli altri due nipoti. Esclusa la manleva assicurativa, in quanto nella fase iniziale della causa l’assicurazione non era stata citata in giudizio.
Il 22 dicembre del 2021, l’82enne, rimasta vedova, aveva venduto la sua casa e nell’attesa di trasferirsi a Pisa dalla figlia aveva soggiornato con lei nella camera numero 4 della struttura dal 13 al 15 gennaio del 2022, giorni in cui era in corso il trasloco. Una volta a Pisa, la donna si era sentita male. Le sue condizioni erano precipitate e a nulla erano valsi i tentativi di salvarla da parte dei medici dell’ospedale di Pisa dove l’82enne era deceduta il 27 gennaio successivo.

La morte, come confermato dal medico legale di Pavia Elena Invernizzi, è stata attribuita al fatto che l’anziana, che soffriva di ipertiroidismo, aveva contratto l’infezione provocata dalla legionella. Invernizzi aveva parlato di “un’infezione polmonare” e di “un quadro di insufficienza respiratoria che si è aggravato fino al decesso”. La donna, come riferito in aula dal medico legale, “è risultata positiva al batterio della legionellosi rinvenuto nelle reti idriche“.
All’epoca, dopo il decesso dell’anziana, le Asl di Cremona e Pisa avevano svolto controlli accurati sia nella casa della provincia di Cremona dove la vittima abitava, che in quella della figlia dove si era appena trasferita. Tutto era risultato negativo. Il decesso è dunque riconducibile al soggiorno nella struttura della provincia di Cremona.
Nella causa civile, i familiari della vittima erano assistiti dall’avvocato Alberto Gnocchi, mentre la titolare della locanda è difesa dagli avvocati Luca Curatti ed Enrico Moggia, subentrati ad un collega quando la fase istruttoria del processo era già esaurita.

“Nel penale vale il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio“, ha spiegato l’avvocato Gnocchi, “mentre nel civile il principio del più probabile che non. La signora era sana e si è ammalata nel periodo del soggiorno nella struttura, che è risultata più che positiva alla legionellosi: si parla di 450.000 unità di presenza del batterio su un limite massimo di 100. Quindi è più probabile che non”.
“Noi faremo sicuramente appello contro questa sentenza”, ha fatto sapere l’avvocato Moggi. “La signora ha dimostrato di aver adempiuto a tutte le attività previste: ha fatto campionamenti, analisi delle acque, e ricordo che la disciplina non stabilisce delle periodicità definite entro le quali un gestore deve fare controlli. In questo caso la presenza del batterio non può essere definita come effetto causale della custodia di quell’immobile, che è sempre stato curato e mantenuto in modo appropriato”.
Per quanto riguarda l’esclusione della manleva assicurativa, l’avvocato Moggi ha sottolineato che “la difesa non ritiene giusta la decisione di rigettare la domanda di garanzia, perchè a nostro avviso il giudice ha rilevato delle questioni che dovevano essere eccepite dalla Compagnia assicurativa che non si è mai presentata in giudizio“. “In questo caso”, ha concluso Moggi, “non emerge l’incuria assoluta dell’immobile. Si è generato questo batterio ma la genesi dell’infezione è un fatto fortuito e non c’è un rimedio scientifico in grado di debellare completamente la legionella”.
L’udienza penale, invece, è stata aggiornata al 30 ottobre per sentire i testimoni della difesa. Il procedimento procedimento arriva da una richiesta di archiviazione della procura.
Sara Pizzorni