Anni di maltrattamenti, la vittima:
"Mi ha ucciso psicologicamente"
“Ero totalmente succube. Se all’epoca fossi stata lucida, non sarei mai rimasta con lui”: parole intrise di consapevolezza e di dolore quelle di Paola (nome di fantasia, ndr) che davanti ai giudici, martedì mattina, ha raccontato di un incubo durato 13 anni, a fianco di un marito violento e prevaricatore.
Entrambi napoletani, si erano sposati nel 2008, al sud. Le cose all’inizio erano andate bene, finché la coppia non si era trasferita al nord, nel Cremonese. Ed era stato qui, nella nebbia padana, che per Paola era iniziato l’incubo.
“Ricordo il primo episodio violento, ancora prima del trasferimento, nel 2010. Eravamo a casa di mia suocera e mi rifiutavo di fare quello che dicevano, così lui mi ha dato due schiaffi” racconta la vittima, rappresentata dall’avvocato Stella Abbamonte. Poi tutto sembrava essersi calmato. “All’inizio le aggressioni fisiche non erano molto numerose. Poi, nel 2011, quando sono arrivata a Cremona, sola e senza il supporto della mia famiglia, la situazione ha iniziato a peggiorare, gradualmente”.
Il racconto della donna è molto articolato, un fiume in piena: una narrazione costellata dalla violenza. Schiaffi ricevuti ogni volta che lei si ribellava agli ordini del marito. “Era il 2016. Un giorno gli avevo risposto male, e lui mi aveva presa a schiaffi, poi mi aveva afferrata per i capelli e trascinata in salotto. Ho chiamato una mia amica e siamo andate in ospedale. Poi ho sporto denuncia. Ma lui mi ha fatto sentire in colpa e mi ha convinto a ritirare la querela e a tornare con lui”.
Ma a quel punto le cose erano peggiorate: “Lui e la sua famiglia mi tenevano costantemente sotto controllo. Non potevo uscire da sola, senza di lui e dovevo vestirmi in modo che le mie forme non si notassero” racconta ancora Paola.
Poi c’erano state le violenze economiche: “Quando mi ribellavo, dopo avermi messo le mani addosso se ne andava di casa e smetteva di sostenermi economicamente. Io non lavoravo, e ogni volta mi trovavo da sola con i figli, senza soldi per comprare loro cibo e vestiti”. In quelle circostanze, chiedeva aiuto alla sua famiglia, e alcune volte, addirittura, si era dovuta rivolgere alla Caritas.
Negli anni la vittima ha provato più volte ad allontanarsi dal carnefice, ma poi tornava sempre da lui. “Io volevo ribellarmi alle sue imposizioni, non ce la facevo più. Mi diceva tante brutte parole, mi insultava (la donna scoppia a piangere durante l’udienza, ndr). Diceva che ero una poco di buono. Mi controllava continuamente il telefono. Mi ha ucciso, moralmente e psicologicamente. A volte le parole fanno più male delle mani”.
Nel 2018 lei aveva chiesto la separazione, ma da parte di lui erano arrivate anche le minacce: “Più mi ribellavo e più mi minacciava. Mi diceva che mi avrebbe bruciato viva, che me l’avrebbe fatta pagare, che mi avrebbe tolto i figli, che non mi avrebbe passato il mantenimento”.
Ma neppure quella volta era riuscita a liberarsi davvero di lui. “Nel 2019 abbiamo provato a tornare insieme, a vedere se riuscivamo a risolvere le cose”. Ma, naturalmente, non era andata bene. Erano ricominciate le botte, le vessazioni, le minacce. “Avevo paura di lui” racconta. “Ogni volta che apriva la porta, rientrando a casa, io tremavo”.
Era stato solo nel 2023 che Paola ha deciso di dire basta. Ha denunciato il marito e lo ha lasciato definitivamente. Ma per lei l’incubo non è finito: “Nello stesso anno l’ho denunciato per diffamazione, perché lui e la sua famiglia mi hanno insultata e diffamata sui social. Dicevano che andavo con i vecchi per 10 euro. Ho dovuto lasciare il paese perché dopo quegli episodi le persone mi cercavano pensando fossi una puttana” racconta con le lacrime agli occhi.
Durante l’udienza non è mancato anche qualche momento più scenografico, quando l’avvocato Amelia Crispino, che difende l’imputato, ha posto le proprie domande alla vittima, con toni piuttosto accesi, sfiorando quasi il diverbio, tanto che il giudice si è visto costretto al richiamo: “Non siamo a Forum”, ha detto.
Al termine dell’udienza il pubblico ministero ha chiesto un’integrazione del capo di imputazione, aggravandolo: “per aver maltrattato la propria moglie, per ingiurie, minacce di morte, omettendo il sostentamento di moglie e dei figli minori, rompendo oggetti in casa, controllando il suo telefono cellulare, impedendole di uscire di casa, trascinandola per i capelli, picchiandola di fronte ai figli”.
L’avvocato della difesa ha chiesto il termine a difesa e il procedimento è stato rinviato al 27 gennaio.
Laura Bosio