90 anni fa l'oro alla patria
Ecco come andò a Cremona
di FABRIZIO SUPERTI
“Se avanzo seguitemi, se indietreggio uccidetemi, se mi uccidono vendicatemi”; questo motto, coniato da Benito Mussolini, campeggiava, a piena pagina, sul Regime Fascista del 3 ottobre 1935. Il foglio del fascismo cremonese celebrava pertanto l’avvio della spedizione militare italiana volta alla conquista dell’Etiopia; si trattava dell’agognato “posto al sole” che l’Italia, da tempo, reclamava al pari cospetto delle principali potenze dell’epoca.
Il lungo lavoro diplomatico per ottenere la “mano libera” in Etiopia si era scontrato con la rigida posizione espressa dall’Inghilterra contraria a fornire il via libera per procedere all’acquisizione dell’Impero Abissino; Impero che risultava affiliato alla Società delle Nazioni che, a fronte dell’avvio delle manovre militari italiane, si mosse a difesa del Paese aggredito avviando l’iter per applicare le sanzioni economiche verso il Paese aggressore. Le sanzioni, votate il 18 novembre del ’35, videro l’adesione di oltre cinquanta Stati aderenti all’Istituto internazionale che aveva sede a Ginevra.
Le misure adottate contro l’Italia, in realtà, risultarono meno penalizzanti di quanto stimato stante la mancata adesione alla campagna di boicottaggio di numerosi Paesi sia europei (Svizzera, Austria, Germania, Ungheria) che collocati in altre parti del pianeta. Si sottolineava infatti la possibilità di scardinare le regole sanzionatorie con triangolazioni con nazioni come gli Stati Uniti, il Giappone e gran parte del Sudamerica. L’ostracismo verso l’Italia – “Soli contro tutto il mondo” – pur provocando qualche inevitabile difficoltà all’economia nazionale, venne abilmente sfruttato dal Regime per promuovere una campagna atta a sviluppare un sentimento di rivalsa che si tradusse in un marcato rafforzamento del consenso al Governo.
L’Inghilterra, la “perfida Albione”, divenne il principale obiettivo degli strali della propaganda di stampa abilmente montata; si riteneva che il suo egoistico operato da grande potenza coloniale non potesse comunque impedire all’Italia di poter consolidare il suo prestigio internazionale. Si giunse persino a proporre l’abolizione dell’insegnamento della lingua inglese con altri idiomi più prossimi agli interessi italiani.
Il Regime, in realtà,oltre che a ripristinare “sui colli fatali di Roma” gli antichi fasti di un tempo, necessitava di nuovi insediamenti Oltremare come valvola di sfogo migratoria per allentare la morsa di ampie sacche di disoccupazione che interessavano il Paese non ancora ripresosi appieno dalla Grande crisi del 1929.
Per sostenere al meglio il Paese durante il suo sforzo bellico, che andrà a completarsi con la conquista di Addis Abeba nel maggio dell’anno successivo, si determinò di organizzare una grande campagna propagandistica a favore del Regime attivando una gigantesca manifestazione di consenso popolare che prevedeva la raccolta dell’oro a favore della Patria. Un gesto finalizzato a rinsaldare le riserve auree dello Stato coinvolgendo pressoché l’intera popolazione italiana. Il gesto di maggior impatto emotivo consisteva nella consegna delle fedi nuziali in cambio di anelli di metallo. Si prospettava pertanto di sacrificare un oggetto di particolare valore affettivo come dimostrazione di vicinanza alla nazione accerchiata e posta sotto attacco.
L’avvio della raccolta dell’oro a Cremona
Dopo pochi giorni dell’avvio del conflitto bellico la macchina della propaganda fascista si metteva in moto per promuovere la raccolta di preziosi onde supportare lo sforzo militare promuovendo la raccolta di oro, argento nonché materiali meno nobili ma altrettanto funzionali all’economia di guerra.
Cremona in quei primi giorni di guerra viveva in uno stato di febbrile eccitazione con migliaia di cittadini che accorrevano, più o meno entusiasticamente, alle adunate per ascoltare, tramite grammofoni piazzati in ogni comune della provincia, i discorsi del Duce. Ai primi successi militari, fra cui la conquista di Adua che sanava una dolorosa ferita, la città era attraversata da festosi cortei che inneggiavano alle sorti dell’esercito italiano.
Il conferimento dell’oro rappresentava ovviamente l’elemento simbolico di maggior richiamo e funzionale alla costruzione del gesto collettivo a favore della Patria; il 10 ottobre nei locali della locale Federazione fascista iniziava il deposito del prezioso metallo alla presenza dei vertici politici ed istituzionali del partito.
Roberto Farinacci, il primo iscritto in quello che diventerà un infinito elenco, consegnava 23 medaglie pari a 383 grammi d’oro a cui facevano seguito altre donazioni, di importi meno rilevanti, da parte degli onorevoli Nino Mori e Giuseppe Moretti nonché del federale Remo Montanari e di altri esponenti locali. Il primo giorno si concludeva con una raccolta appena superiore al chilo e mezzo cifra che, nei giorni successivi, si implementava in forza del proseguo dei conferimenti.
Il ruolo del clero cremonese
L’azione di sfilare l’anello nuziale, specie per le donne, non sarebbe risultato cosi facilitato senza la piena approvazione al gesto da parte degli esponenti del clero; quel simbolo dell’eterna promessa di reciproca fedeltà all’epoca rappresentava un bene da cui era impensabile separarsi. L’avvallo che i sacerdoti forniranno nel benedire gli anelli di metallo consegnati alle coppie risulterà fondamentale per vincere le ovvie ritrosie che albergavano nell’animo di tanti cittadini.
L’adesione allo spirito di comunanza verso la Patria si riassumeva anche nella lettera redatta dal vescovo di Cremona Giovanni Cazzani ed indirizzata al clero ed al popolo che conteneva, fra l’altro, un passaggio in cui si sottolineava che …” Ora, poiché la guerra è in atto e sono in gioco le sorti della Patria, supremo dovere di tutti i cittadini – e i cattolici devono essere i primi fra i migliori – è questo: stringersi in compatta e cordiale cooperazione intorno al Sovrano e al Capo del Regime nazionale, obbedienti agli ordini delle Autorità. Ed affrontare serenamente, senza lamenti e senza esitazioni i sacrifici imposti dalla gravità del momento.”
Il 12 ottobre sul Regime Fascista appariva un articolo che sintetizzava lo scritto che il vescovo Cazzani aveva stilato; il giornale rimarcava e sottolineava la portata di tale scritto espressione di un pastore che, notoriamente, non aveva mai dimostrato particolare sintonia per il ras locale. Il prelato a capo della diocesi, di fatto, interpretava e per certi aspetti attenuava la sua nota prudenza verso il Regime finendo per assecondare quella sorta di ubriacatura collettiva che pervase il paese in quei convulsi mesi dell’autunno del ’35.
All’inizio di dicembre giungeva, tramite telegramma inviato al prefetto Carini, una dichiarazione di Mussolini indirizzata ai vescovi di Cremona e Crema (Francesco Maria Franco) nella quale si sottolineava come …”L’atteggiamento vescovi e clero è in questo momento altamente commendevole dal punto di vista patriottico e morale. Fare conoscere questo mio apprezzamento mentre mi riserbo di darvi al momento opportuno pubblica espressione.”
Fra gli esponenti del clero cremonese si distingueva, per trasporto verso la causa coloniale, il parroco di Voltido che raccoglieva, in un breve scritto autorizzato dal vicario generale della Diocesi don Luigi Vigna, due interventi proferiti in chiesa in occasione del rientro dei militari e delle camice nere dall’Africa Orientale; soldati del territorio casalasco inquadrati tanto nella divisione “Gran Sasso” quanto nella “28 Ottobre”.
Il titolo del fascicolo – Gloria e Vittoria – ben riassumeva il suo pensiero che coniugava il valore dei militari con l’indispensabile intervento della mano divina. Il suo slancio patriottico si manifestava infatti nelle proposizioni in cui sottolineava come … “Un popolo senza Dio è nulla: un popolo con Dio è tutto. Cieco è chi non scorge nell’impresa etiopica il dito di Dio (..)E’ la divina provvidenza che ha donato all’Italia un Capo che, non contento di aver resi gli Italiani all’Italia, ha ridonato all’Italia, dopo quindici secoli, il suo Impero; Impero fascista … Impero di pace … Impero di civiltà e umanità.”
Don Primo Bottini inoltrava, inoltre, due copie del suo breve pensiero al Capo del Governo la cui Segreteria particolare si premuniva, tramite nota inviata al prefetto, di ringraziare per il gradito dono ricevuto.
2 dicembre 1935: La giornata cremonese dell’oro
Dopo alcuni rinvii per motivi organizzativi la Federazione fascista di Cremona definiva di programmare per il lunedì 2 dicembre la “giornata cremonese dell’oro”; una sortita che Farinacci promosse, anticipando la data da fissarsi a livello nazionale, per distinguersi e proporsi come alfiere del patriottismo nazionale. L’iniziativa prevista in ogni comunità della provincia si avvaleva del supporto tanto degli insegnanti elementari, invitati a trasmettere agli alunni l’invito per i genitori ad offrire l’oro, quanto del clero in ogni sua ramificazione territoriale.
Innumerevoli i sacerdoti, accomunati al loro vescovo, che concorsero a depositare il loro contributo presso i locali della Federazione fascista; fra questi, ad esempio, il canonico mons. Carlo Favagrossa, penitenziere della cattedrale, il quale consegnava un anello d’oro vergato con la scritta: “Mentre offro il mio anello di canonico, auguro alla mia diletta Patria la vittoria sul bolscevismo mondiale.”
Mons. Baldassarre Viganò, altro canonico e antico discepolo del vescovo Bonomelli, consegnava a Farinacci tutto l’oro di famiglia mentre Temistocle Marini, abate mitrato di Casalmaggiore, faceva dono della sua croce pastorale. Accanto alle offerte elargite dalle personalità laiche e religiose, il flusso continuo della giornata veniva garantito dalla presenza dei tanti cittadini che, con pazienza, si accodavano per offrire il loro obolo; l’oro degli umili, come venne definito in toni trionfalistici, consentiva alla fine della giornata la raccolta di ben due quintali di oro. Un risultato ritenuto di particolare prestigio stante la scarsa popolazione presente in ambito provinciale.
18 dicembre : la giornata della fede
Ad un mese di distanza dall’applicazione delle sanzioni ginevrine il Regime promuoveva, con particolare enfasi, un’iniziativa a carattere nazionale in cui si doveva evidenziare l’afflato della popolazione con l’azione del Governo. In una giornata livida e uggiosa si compiva pertanto un rito collettivo intriso di una sorta di misticismo laico che esprimeva il momento più elevato del consenso nei confronti del fascismo.
Anche in ambito cremonese l’organizzazione aveva definito le modalità del rito della consegna delle fedi in ogni chiesa della diocesi; alle 10:00 si doveva celebrare, in contemporanea, la messa durante la quale le coppie erano tenute a compiere il gesto di adesione alla campagna promossa contro gli iniqui provvedimenti adottati nei confronti dell’Italia.
Mentre tutti gli edifici pubblici dovevano esporre le bandiere nazionali, gli edifici sacri accoglievano pertanto la componente “sacrale” dell’evento. Il Regime Fascista si premuniva di riportare sulle sue colonne le varie fasi in cui si sarebbe scandita l’epica giornata. “Le spose cremonesi – si annotava – che con uno slancio indimenticabile, hanno offerto il loro anello nuziale alla Patria, riceveranno in quel giorno, l’anello d’acciaio, benedetto dai parroci nelle chiese e dal Vescovo in Cattedrale. La cerimonia si svolgerà alle ore 10 dopo la messa, diciotto spose scelte fra le Madri e le Vedove dei Caduti per la guerra e la Rivoluzione e fra i volontari ed i richiamati in Africa Orientale saliranno sull’altare per ricevere l’anello d’acciaio in cambio di quello d’oro. Le altre spose lo ritireranno presso i Fasci ed i Gruppi rionali.”
Sullo sfondo della cerimonia echeggiava in maniera ben nitida l’immancabile richiamo alla Grande Guerra come elemento fondante della narrazione fascista. L’anello consegnato agli sposi portava al proprio interno il simbolo del fascio littorio con impressa la data del 18 dicembre 1935.
In ogni comune si doveva inoltre provvedere a collocare una piastra di marmo, proveniente dalle cave di Carrara, sulla facciata principale dell’edificio municipale ad imperitura memoria della giornata dell’italico orgoglio.
Alla vigilia di Natale dalle Autorità centrali giungeva l’invito a fornire le indicazioni in merito ai risultati conseguiti nella domenica precedente; in un appunto vergato a matita sul fondo del documento risultava annotato il dato di tre quintali di oro e di 60.000 fedi consegnate dalle coppie cremonesi.
L’ammontare raccolto a livello nazionale pare invece si aggirasse sulle 37 tonnellate di oro e 115 di argento che, secondo i propositi iniziali, furono inviati alla Zecca di Stato per rafforzarne il patrimonio nazionale.
Le Fabbriche Riunite Placcato Oro di Casalmaggiore
Nella vicenda legata alla raccolta dell’oro alla Patria si inserisce anche un capitolo legato ad una nota industria casalasca che già nel tempo si era ritagliata uno spazio significativo in originali produzioni di notevole diffusione.
La necessità di disporre di una quantità importante di anelli nuziali in metallo da sostituire con quelli in oro, donati dagli sposi italiani, indusse la fabbrica, con sede in Casalmaggiore, a proporre al prefetto di Cremona di accreditarsi come una fornitrice delle fedi occorrenti. L’autorità prefettizia il 12 dicembre concedeva il via libera alla produzione ed alla commercializzazione su tutto il territorio nazionale del materiale confezionato dalle Fabbriche Riunite.
La concessione ottenuta rappresentava una commessa di indubbia portata che garantiva, inoltre, un ulteriore ritorno in termini di pubblicità su tutto il territorio italiano; si stima che dalle officine delle Fabbriche Riunite siano state predisposte oltre tre milioni di fedi metalliche inviate alle varie Federazioni di partito sparse in tante province dello stivale. Le stesse Federazioni fasciste che, esercitando pressioni sul governo, riuscirono, nella primavera del ’36, ad ottenere un provvedimento che vietava la commercializzazione delle fedi in metallo alle attività commerciali.
Un provvedimento che provocava all’azienda di Casalmaggiore un sostanziale blocco della produzione ed il rischio di vedersi chiedere cospicui risarcimenti per il materiale invenduto. Il Ministero dell’Interno precisava, infatti, che si poneva divieto ai privati della vendita di anelli portanti la dicitura interna ed il simbolo del fascio littorio. La ditta casalasca si adeguava all’imposizione non mancando di rimarcare, con un certo coraggio, come il provvedimento adottato fosse, in realtà, applicato in modo difforme dalle varie questure.
In una nota inviata alla prefettura si rimarcava come …”assicuriamo di aver già provveduto a sospendere ogni produzione di fedi con dicitura in attesa di istruzioni più precise. Si consegnerà solo alle Federazioni e poi si vedrà. In quanto al colore ormai si è creato un po’ di baraonda mentre i tre milioni di pezzi da noi consegnati sono uniformi, alcune Federazioni (vedi Milano) consegnarono formati e colori diversi, altre che serviamo tuttora anche noi li vollero cromati, altre ancora nichelati.”





