Cronaca

Il vescovo Dante Lafranconi: «Preti sposati, nessun ostacolo dogmatico ma io non sono favorevole»

“Non c’è nessun ostacolo dogmatico all’ordinazione di un uomo di provata fede che abbia una moglie e dei figli. E’ un’ipotesi che si può discutere come una delle soluzioni possibili per arginare la crisi delle vocazioni in Europa”. Questa la parte centrale di una intervista rilasciata ieri all’inviato de “il Giorno”-“Resto del Carlino”-“Nazione”, Giovanni Panettiere, rilasciata da monsignor Dante Lafranconi, vescovo di Cremona e rilanciata oggi dalle tre testate  e dalle agenzie di stampa nella mattinata. Una intervista che susciterà molte discussioni.

Nell’articolo si ricorda come monsignor Dante Lafranconi, già presidente della commissione episcopale per la famiglia e la vita della Cei, sia uno dei vescovi più ascoltati. Monsignor Lafranconi esprime la sua preoccupazione per la mancanza di “nuovi operai nella vigna del Signore” e il giornalista arriva alla domanda spinosa alla quale monsignor Lafranconi non si sottrae com’è sua abitudine. Nel pomeriggio l’ufficio comunicazione della Curia ha però diramato l’intervista integrale.

“L’intervista apparsa sul quotidiano “Il Giorno” di giovedì 15 settembre – si legge in una nota – riflette, in maniera incompleta, il pensiero di mons. Dante Lafranconi su temi assai delicati come la concessione del sacerdozio alle persone sposate. Per tale motivo pubblichiamo le risposte integrali che il vescovo di Cremona ha rilasciato al giornalista Giovanni Panettiere: da esse si evince il pensiero esatto del presule”. Di seguito le risposte pubblicate sul sito della diocesi.

Viri probati, diaconato femminile, Eucarestia ai divorziati risposati. Monsignor La­franconi, sono questioni aperte nella Chiesa?

“Sì, nel senso che sono problemi di cui si parla. Si tratta, comunque, di tre questioni di­verse che vanno esaminate l’una dopo l’altra e discusse separatamente per non fare con­fusione”.

Partiamo dai viri probati?

“La Chiesa latina in passato ha già conosciuto l’esperienza di un clero uxorato, contem­plato tutt’oggi dai cattolici di rito orientale. Personalmente ritengo che si possa valutare la possibilità di ordinare uomini sposati di provata fede che godono di buona reputazione nel popolo di Dio. Non c’è nessuno ostacolo dogmatico alla loro consacrazione. Io però non sono favorevole, come scelta per sopperire all’attuale diminuzione del clero. Tante altre volte nella storia la Chiesa ha sperimentato la grave carenza di vocazioni sacerdotali ma non ha mai per questo rinunciato alla norma del celibato”.

Diaconato femminile?

“Il sacerdozio delle donne non è una strada percorribile, come ha precisato Giovanni Pa­olo II nella Lettera apostolica del 22 Maggio 1994. E lo stesso discorso vale per il diaco­nato, inteso come grado dell’ordine sacro. Diversa è l’ipotesi di un rito di investitura, una benedizione, che riconosca ufficialmente alla donna un ministero laicale”.

Eppure la Lettera ai Romani di Paolo accenna alla diaconessa Febe della Chiesa di Cencrea.

“La questione dibattuta è quella di capire se le diaconesse come Febe, presenti nella Chiesa delle origini, fossero partecipi dell’ordine sacro oppure svolgessero un ministero di servizio riconosciuto dalla comunità, ma non inquadrato nel sacramento dell’ordine”.

(L’intervista integrale continua con altre domande sull’educazione in generale e sull’impegno educativo della Chiesa e in modo particolare della diocesi di Cremona)

Educazione sessuale in classe. Che ne pensa?

“È problematica, perché rischia di essere solo informazione. Ciò non significa che non si possa fare di meglio. Conosco scuole a Cremona che si avvalgono di un’equipe di psico­logi, medici, educatori per spiegare anche il significato profondo della sessualità. Questa è sicuramente una strada utile e percorribile”.

Sempre più giovani conoscono la sessualità prima del matrimonio.

“Di fronte a fenomeni di larga diffusione, bisogna evitare di fare di ogni erba un fascio. Di­versa valutazione merita il comportamento di chi considera la sessualità in chiave di diver­timento o di sport, come scriveva nel secolo scorso Alex Confort, di chi cambia partner ogni settimana, di chi è fidanzato con l’intenzione seria di sposarsi. In ogni caso l’esercizio pieno della sessualità fuori del matrimonio è un disordine grave perché il rapporto ses­suale esprime, col linguaggio del corpo, il donarsi reciproco degli sposi in un patto di totale affidabilità per tutta la vita e l’apertura alla possibile generazione. Questi elementi non sussistono nel fidanzamento che per sua natura è tempo di discernimento e di prepara­zione alla scelta matrimoniale”.

Nel 2006 lei condivise pubblicamente l’apertura del cardinale Martini, formulata nel dialogo con il professor Marino pubblicato sul settimanale L’Espresso, in relazione all’uso del profilattico in una coppia con un coniuge sieropositivo. È pentito di aver sostenuto questa posizione?

“Veramente ho condiviso in maniera critica quanto aveva affermato il card. Martini, perché volevo evitare che si giustificasse tout-court il preservativo tralasciando nella gestione della sessualità, ogni impegno educativo, dal quale non ci si può mai esimere anche nel caso in questione. Bisogna però riconoscere che questo caso ci porta come in una zona grigia, per dirla proprio con le parole del card. Martini. In altri termini, ci troviamo in una di quelle situazioni in cui bisogna essere cauti nel formulare giudizi e valutare con prudenza le situazioni personali e familiari dei coniugi interessati”.

Lei cosa consiglierebbe a una coppia con un partner affetto da Hiv?

“Suggerirei di non scartare a priori la strada dell’astensione dal rapporto sessuale come segno che si ha a cuore il bene del coniuge sano e per amore di lui si è disposti anche al sacrificio dell’astensione; ma non mi sentirei di condannare gli sposi che, per soddisfare il legittimo desiderio dell’unione intima, decidessero di utilizzare il preservativo”.

 



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