I canti della Merla, serata riuscita a Robecco

Riuscitissima serata, ieri, dalle 21 in poi, sul piazzale della chiesa di Robecco con i canti della Merla eseguiti dal gruppo di Genivolta e Azzanello. L’esibizione dei cantori, bella e applaudita, meritava senz’altro un pubblico maggiore ma il freddo, come sempre in rappresentazioni invernali all’aperto, ha limitato le presenze. I due bracieri accesi ricordavano gli antichi falò che, spesso, accompagnavano la tradizione.
Con la presentazione di Alberto Costante Agazzi, il gruppo, coordinato da Roberta Colombi bibliotecaria di Genivolta, ha cantato il repertorio classico: “La Merla”, “L’acqua del Travacòn”, “La colombina”, “Quell’uccellin del bosco”, “Ch’el uselèn che canta”, “Mascherata finale” (“Martino e Marianna”). I cantori indossavano abiti indicativamente richiamanti il tempo andato: i maschi con tabarro, fazzoletto al collo e cappello; le femmine, vestite di scuro, con scialle, grembiule e fazzoletto per la testa.
I giorni della Merla, considerati dalla tradizione i tre giorni più freddi dell’anno, nel Cremonese, corrispondono, da antica data, ai giorni 30 e 31 di gennaio e al 1° di febbraio. Altrove corrispondono ai giorni 29, 30, 21 gennaio.
I testi, parte dei quali sembrano affondare le proprie radici nel XVI secolo, hanno pure, in alcune frasi, chiare allusioni ai rapporti uomo-donna. L’atmosfera che si crea con tali canti riporta alla vecchia tradizione contadina dove il sesso non rientrava tra gli argomenti di educazione dei figli. Per questo erano frequenti le allusioni, i parallelismi e i riferimenti indiretti all’argomento.
La leggenda racconta che il mese di gennaio di un anno imprecisato fu particolarmente mite. Una merla dal bianco piumaggio (una volta ricorda ancora la leggenda, tutti i merli erano bianchi) prese in giro Gennaio, rappresentato come un anziano signore, perché il mese stava finendo e il freddo si era fatto sentire appena. Queste le sprezzanti parole della Merla:”Genàar, Genaròt, de té me ne fréeghi! Te l’òo sguarnàat el me merlòt”, “Gennaio Gennaione, di te me ne frego! Ho già nascosto il mio merlotto” nel senso di pulcino- piccolo merlo.
“Essere buoni spesso non conta. Bisogna essere cattivi per farsi rispettare” dovette pensare il mese preso in giro che, allora, disse alla Merla: “Dù te i dòo, öön te ‘l prumetaròo, bianca te sét ma néegra te faròo”, “Due giorni te li do, uno te lo prometterò. Bianca sei ma nera ti farò”!
Gennaio andò a prendere in prestito un giorno da Febbraio con la promessa di restituirglielo (cosa che non fece). In quei giorni si scatenò un freddo di quelli mai visti prima. Gli uomini misero legna al fuoco per scaldarsi e la Merla si rifugiò, con il suo piccolo, in un comignolo. Dopo la furia di quel freddo i due uccelli uscirono all’aperto scoprendo che le loro piume, a contatto con la fuliggine, erano diventate nere. Da allora tutti i merli (salvo rarissime eccezioni dato che la bontà è cosa rara) divennero neri. L’insolenza era diventata vergogna.
Angelo Locatelli
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