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Morto a 81 anni l’artista Jimmie Durham

E’ morto a 81 anni Jimmie Durham, artista, performer, saggista e poeta statunitense. Fu protagonista di una pratica artistica che ha tentato di decostruire i concetti cardine della cultura occidentale e di smantellare stereotipi e costrutti imposti dalle culture dominanti. E’ deceduto oggi a Berlino dopo una lunga malattia. Molto legato all’Italia (in particolare a Napoli), a Durham nel 2019 è stato conferito il Leone d’Oro alla Carriera della 58esima Biennale di Venezia. Nel 2017 aveva ricevuto il Premio Robert Rauschenberg. Compagno dell’artista brasiliana Maria Thereza Alves, è arrivato nel 1994 in Europa, scegliendo di vivere tra Berlino e Napoli. Da molti anni a Napoli aveva allestito una casa-studio ricavata nell’archeologia industriale dell’ex Lanificio Borbonico. Nel 2016 l’artista aveva realizzato l’opera “Presepio”, presentata al Madre in occasione delle festività natalizie. 

Considerato tra i nomi più influenti dell’arte contemporanea, i suoi contributi alla scultura sono considerati eccezionali per la loro originalità formale e concettuale, per la disinvoltura con cui egli ha saputo fondere tra loro parti dissonanti e prospettive alternative e per la loro irrefrenabile giocosità. Attivista dei diritti civili, negli anni ’60 e ’70 si è impegnato per i diritti civili degli afroamericani e dei nativi americani e la sua opera successiva ha assunto una forte valenza di denuncia politica e culturale verso il pensiero ‘coloniale’. 

Nato in Arkansas nel 1940, Durham ha partecipato a diverse edizioni della Biennale Arte (1999, 2001, 2003, 2005, 2013) e a varie mostre internazionali tra cui Documenta di Kassel (1992, 2012), Whitney Biennial of New York (1993, 2003, 2014), la Biennale di Istanbul (1997, 2013) e molte altre mostre collettive. Oltre alle personali in diversi musei del mondo – Hammer Museum di Los Angeles (2017-2018), Maxxi Museo nazionale delle arti del XXI secolo a Roma (2016), Serpentine Gallery di Londra (2015), Neuer Berliner Kunstverein (nbk) (2015), Fondazione Querini Stampalia di Venezia (2015), Museo Madre di Napoli (2008, 2012), Palais des Beaux-Arts a Bruxelles (1993), Ica di Londra – gli sono state dedicate delle retrospettive al Museum of Contemporary Art di Anversa (2012), al Musée d’Art moderne de la Ville de Paris (2009), al MAC di Marsiglia e al Gemeentemuseum a L’Aia (2003). Nel 2017 una nuova retrospettiva della sua opera dagli anni ’70 a oggi è stata esposta all’Hammer Museum a Los Angeles, al Walker Art Center a Minneapolis, al Whitney Museum of American Art a New York e al Remai Modern a Saskatoon. Nel 2016 ha ricevuto l’Imperial Ring della città di Goslar (Goslarer Kaiserring) e nel 2017 il Premio Robert Rauschenberg. 

Tra le sue pubblicazioni più note figurano due raccolte di saggi: “A Certain Lack of Coherence” (1993, Kala Press, London) e “Waiting To Be Interrupted” (2014 Mousse Publishing, Milano); e due libri di poesie: “Columbus Day” (1985, West End Press, Albuquerque) e “Poems That Do Not Go Together” (2012, Wiens Verlag and Edition Hansjörg Mayer). 

Le sculture di Durham sono spesso accompagnate da testi che commentano in modo scanzonato ma incisivo le prospettive e i pregiudizi eurocentrici. Il suo lavoro, che denuncia con insistenza i limiti del razionalismo occidentale e la futilità della violenza, si è soffermato spesso anche sull’oppressione e sui fraintendimenti perpetrati dai poteri coloniali ai danni delle diverse popolazioni etniche di tutto il mondo. Se da una parte Durham tratta questo materiale con grande abilità e leggerezza, dall’altra produce anche critiche taglienti cariche di perspicacia e arguzia, distruggendo con sagacia i concetti riduttivi di autenticità. 

Dopo aver studiato arte a Ginevra, nel 1973 Durham tornò negli Stati Uniti e divenne un attivista dell’American Indian Movement, associazione a sostegno dei diritti dei nativi americani. In quegli anni si dedicò esclusivamente all’attività politica e divenne direttore dell’International Indian Treaty Council e rappresentante delle Nazioni Unite. Dopo un decennio d’intensa attività politica Durham si trasferì a New York e riprese contatto con l’ambito delle arti visive. 

Dopo aver vissuto alcuni anni in Messico, nel 1994 l’artista è di nuovo in Europa e questa forma di esistenza nomadica fa sì che, nel suo lavoro, diventi centrale il tema del dinamismo delle forme con cui l’uomo risponde ai bisogni più essenziali, insieme con una disamina critica della supposta unitarietà dell’identità individuale e culturale. 

Tra le materie ricorrenti nella pratica scultorea, installativa e performativa di Durham la pietra e il masso, che assumono un valore simbolico o svolgono un’azione plastica. In molte sue opere i simboli della contemporaneità e del benessere (mobilio, frigoriferi, automobili o aerei), appaiono schiacciati sotto il peso di pietre e massi, che Durham ha descritto come riferimenti all’architettura, una disciplina che l’artista interpreta criticamente come struttura che ci illude di vivere nella stabilità e che, in contrasto con la natura, crea invece un ordine che spinge gli uomini a una ripetitività infinita di gesti e consuetudini. 

Nei primi anni Novanta l’artista inizia a produrre una serie di sculture assemblando tra loro materiali e oggetti eterogenei: elementi di recupero di origine industriale, utensili e beni di consumo quotidiano composti a formare strutture all’apparenza arbitrarie. Questa serie di sculture appare come un ritratto insieme entropico, lirico e critico della nostra contemporaneità e del suo inconscio multiforme, in cui coesistono efficientismo industriale e mistero, tradizione e poesia, aneddoto e storia. 

(di Paolo Martini) 

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