Vaiolo delle scimmie e quarantena, cosa dicono Bassetti, Gismondo, Pregliasco
(Adnkronos) – Esperti divisi sulla necessità o meno di imporre una quarantena di 21 giorni non solo per i contagiati dal vaiolo delle scimmie ma anche per i contatti stretti. A bollarlo come “da Medioevo” il direttore dello Spallanzani Francesco Vaia.
Una linea per niente condivisa da Matteo Bassetti, direttore della Clinica di malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova. “Non si tratta di uno strumento da Medioevo ma di fare quello che abbiamo sempre fatto noi infettivologi ed esperti di sanità pubblica: se c’è un’infezione ci si deve isolare e i contatti stretti devono fare una quarantena. Questo si fa per ogni malattie infettiva trasmissibile attraverso il contatto. E credo che sia giusto farlo anche con il vaiolo delle scimmie. Sarà anche stata introdotta nel Medioevo, ma la quarantena è oggi ancora utile”, dice all’Adnkronos Salute. “Se Austria, Belgio, Germania e Regno Unito l’hanno fatto, credo che abbiano seguito le indicazione visto che è una infezione che ha un tempo di incubazione di 21 giorni – avverte Bassetti – In Italia dobbiamo isolare i casi e i contatti molto stretti, le persone che hanno dormito nello stesso letto dovrebbero, per 2-3 settimane, rimanere confinate in un ambiente domiciliare. Questo se si vuole limitare la diffusione del virus”.
“Sì a una quarantena di 21 giorni per i contatti stretti di persone infettate dal virus del vaiolo delle scimmie” anche per il virologo Fabrizio Pregliasco, docente all’università Statale di Milano. “A mio avviso – spiega all’Adnkronos Salute – quando una persona viene informata di essere un contatto stretto, quindi a rischio di diventare un caso secondario, dovrebbe già autoresponsabilizzarsi e comportarsi di conseguenza. Ma quando l”incendio’ è piccolo, e in questa fase ancora sembra esserlo, ritengo giusto essere il più protettivi possibile e quindi immaginare una disposizione di quarantena” anche per i contatti stretti, oltre naturalmente all’isolamento dei pazienti già contagiati. “Oltretutto – ricorda – in Italia non è che la quarantena si fa come in Cina, ‘murando vive’ le persone in casa”. Secondo Pregliasco, la misura dovrebbe essere “fiduciaria. Magari basterebbero telefonate di verifica”.
Di segno opposto l’opinione di Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano. “Le caratteristiche dell’infezione da virus del vaiolo delle scimmie sono tali che non è assolutamente necessaria la quarantena per i contatti stretti”. A chi ha avuto rapporti stretti con una persona che ha contratto il monkeypox, spiega l’esperta all’Adnkronos Salute, “bisogna naturalmente fornire raccomandazioni, bisogna raccoglierne l’anamnesi”, ma “assolutamente no alla quarantena. E’ necessario isolare solo i malati, chi ha manifestazioni della patologia, ricoverandoli in ospedale se ne hanno bisogno”.
Una linea condivisa anche da Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit). “In una malattia di questo genere – spiega all’Adnkronos Salute – l’isolamento preventivo dei contatti dei positivi non serve molto, una quarantena lunga anche 20 giorni è una assurdità. Invece serve una vigile attesa nei primi 14 giorni, durante i quali nel 90% dei casi si verificano i sintomi della malattia: se non accade nulla, si è fuori pericolo. Parliamo di una malattia che non ha una facilissima trasmissibilità. Quindi l’isolamento ha un senso solo quando compaiono i sintomi (linfonodi ingrossati, febbre e lesioni cutanee) e in questo caso si attiva la procedura di quarantena e l’assistenza medica”.
Per i casi di vaiolo delle scimmie “occorre monitorare i contatti dei soggetti asintomatici o subclinici, anche perché sulla base di quanto sappiamo sul vaiolo precedente e sui casi di vaiolo delle scimmie, il soggetto diventa contagioso quando compaiono i sintomi, come ad esempio le lesioni cutanee. Quindi meglio una sorveglianza attiva senza obbligo di isolamento, poi se la malattia si manifesta occorre mettersi in isolamento”, dice all’Adnkronos Salute virologo Mauro Pistello, direttore dell’Unità di virologia dell’Azienda ospedaliera universitaria di Pisa e vicepresidente della Società italiana di microbiologia.