Ottobre 1933, la carica dei 16mila
al cospetto del Duce: ecco chi c'era
di Fabrizio Superti
La massiccia adesione alla lunga trasferta capitolina da parte di una così consistente rappresentanza cremonese veniva sottolineata a più riprese dal giornale di Farinacci; il Regime Fascista non mancava infatti di rimarcare come una piccola provincia fosse riuscita in breve a predisporre una partecipazione di tale dimensione. (QUI LA PRIMA PARTE)
In realtà l’evento forniva al ras cremonese l’opportunità rivendicare la piena adesione del fascismo locale alla linea ufficiale dettata dal Regime; dalle colonne del suo giornale non mancava spesso di sollevare critiche e distinguo all’indirizzo di personaggi o provvedimenti a suo vedere non propriamente allineati all’originale verbo fascista. La sua posizione assai defilata e minoritaria aveva finito per relegarlo ad una condizione alquanto marginale all’interno del partito. Dal suo “esilio” cremonese Farinacci stigmatizzava come
… Siamo orgogliosi di rispondere alle insinuazioni, agli equivoci, con i fatti (..) Nessuno può negare che noi abbiamo marciato all’avanguardia del movimento fascista, tanto nell’opera di demolizione, quanto in quella di ricostruzione. Non è stato facile demolire l’impalcatura bolscevica in una provincia come la nostra. Si è dovuto lottare strenuamente (..) Qualche volta il nostro atteggiamento, forse difettoso nella forma, ha provocato commenti, critiche; ma solo gli uomini in malafede o gli agenti provocatori potevano dubitare della nostra integrità fascista nel pensiero e nell’azione. Gli uomini di eccessivo equilibrio e di eccessivo buon senso, quelli del quieto vivere, quelli che vorrebbero essere in buona con il Diavolo e con i Santi, nulla hanno mai dato né nulla creato nella Storia.
Il promesso saluto di Mussolini in Piazza Venezia induceva i diversi gruppi partecipanti a prevedere una serie composita e variegata di omaggi da offrire al Duce; una sorta di competizione fra i vari enti ed associazioni impegnati a individuare le rispettive eccellenze da condurre in dono al Capo del fascismo.
GLI OMAGGI AL DUCE – In ambito culturale l’Istituto di cultura fascista, con sede in via Beltrami 10, intendeva offrire la collezione artisticamente rilegata della rivista “Cremona” come esempio della vivacità culturale profusa ormai da oltre un quinquennio; il Consiglio dell’Economia si indirizzava invece su una copia dello studio condotto da Ugo Gualazzini sui mercanti a Cremona, segno di una antica e prestigiosa storia commerciale della città. Il podestà di Cremona si orientava invece per la donazione di sei violini prodotti dalla locale scuola Claudio Monteverdi nonché di un pregevole lavoro predisposto dal professor Catalano in ricordo dei martiri fascisti.
Il Preside della Provincia forniva come omaggio tre pregiati bovini provenienti dal Centro sperimentale di Porcellasco, un album di fotografie realizzato dal Fazioli sui restauri dei dipinti del Duomo e un volume che raccoglieva l’attività svolta contro la tubercolosi.
Le associazioni di categorie concentravano i loro obiettivi con donazioni a favore delle nuove località che stavano sorgendo nell’Agro Pontino; le complesse e vaste operazioni di bonifica poste in essere per recuperare un territorio malsano e improduttivo, stimolate dalla legge Serpieri, prevedevano ovviamente anche il realizzo di diversi centri abitati. La seconda cittadina predisposta al servizio dei nuovi coloni era Sabaudia, iniziata nel nell’agosto del ‘33 ed inaugurata nell’aprile del ’34. La federazione dei sindacati fascisti dei contadini capeggiata dall’on. Giordani, cui aderivano 38.000 rurali, decideva di destinare le offerte raccolte all’acquisto di dieci arredamenti completi a favore delle prime famiglie insediate a Sabaudia con non meno di cinque figli.
La federazione degli agricoltori, guidata dall’on. Moretti, si indirizzava invece sull’invio a Sabaudia di uno stallone e due fattrici come viatico per lo sviluppo di quelle terre messe a nuova dimora; i lavoratori dell’industria, tramite l’avv. Carli, raccolsero 4.000 lire da suddividersi in otto premi da assegnare alle prime coppie pronte a trasferirsi nella località pontina. Infine la federazione dei fasci di combattimento omaggiava il Duce inviando la documentazione concernente l’attività svolta a favore dei fanciulli bisognosi di cure presso le colonie fluviali, marine, elioterapeutiche e montane.
IL PRIMO TRENO DA SORESINA – Nel primo pomeriggio del sette ottobre (sabato) si avviava la complessa operazione di trasferimento dei cremonesi verso la capitale; il primo treno, proveniente da Soresina, transitava per Cremona alle 13.27 proseguendo per la linea Pavia-Genova. Fra i vari convogli si segnalava quello contraddistinto dal colore “bianco”, a disposizione della città di Cremona, che veniva ripreso sia dalle telecamere dell’Istituto Luce che da quelle messe a disposizione dal milanese comm. Pettine. Le immagini raccolte interessavano anche i vari punti di partenza e le diverse fasi del viaggio; le sequenze registrate sarebbero poi state trasmesse sia al teatro Ponchielli che al Politeama Verdi in occasione degli spettacoli in cartellone. L’ultimo treno a staccarsi dalla stazione risultava quello che ospitava le autorità di partito e delle varie istituzioni al seguito.
L’ARRIVO A ROMA – Il lungo viaggio notturno si concludeva con l’approdo dei convogli presso le diverse stazioni capitoline; il primo treno giungeva, infatti, presso la stazione Termini mentre il seguito si dispiegava presso i capolinea di Trastevere, S. Lorenzo ed Ostiense.
Il primo appuntamento della giornata prevedeva l’ammassamento presso il Colosseo dove mons. Varischi avrebbe celebrato la messa per i partecipanti alla trasferta; il presule, dinnanzi ad una folla di fedeli, officiava il rito che si concludeva con le note dell’Adeste fidelis eseguite con “armoniosa dolcezza” dalla banda di Sesto guidata dal maestro Pasquali.
Terminata la funzione religiosa iniziavano le operazioni di inquadramento del lungo corteo che alle dieci avrebbe ricevuto il saluto da parte di Achille Starace, Segretario nazionale del partito fascista; a coordinare le varie e complesse fasi vigilava, fra gli altri, il vice-federale ing. Nino Mori. Le procedure prevedevano una suddivisione del corteo in due file: da un lato avrebbero sfilato i fascisti in camicia nera, senza giacca, mentre sull’altro lato tutti gli appartenenti alle organizzazioni sindacali. In attesa dell’arrivo delle autorità i partecipanti potevano disporre di un servizio di ristoro, coordinato da Emilio Rancati, attingendo, a prezzo modico, cestini contenenti uva, panini con salame Negroni e vino dei Castelli romani.
Alle dieci giungeva presso il corteo l’on. Farinacci a cui faceva seguito l’arrivo del Segretario con al seguito varie autorità della capitale; lo stesso passava in rassegna buona parte del lungo serpentone che poi lentamente si predisponeva a muoversi verso il Vittoriano ed il palazzo del Littorio dove veniva deposta una corona in ricordo dei martiri fascisti.
LE 16MILA CAMICIE NERE IN PIAZZA VENEZIA – Officiati questi gesti simbolici il corteo terminava il proprio percorso affluendo in Piazza Venezia; l’imponente moltitudine prendeva posto ed occupava uno dei luoghi simbolo dell’immaginario fascista. I dirigenti del fascismo cremonese salivano a Palazzo Venezia dove venivano accolti nel salone del Mappamondo; il Duce, che indossava la camicia nera in ossequio ad una manifestazione di carattere politico, riceveva il saluto del federale Gambazzi il quale rinnovava a Mussolini i “sentimenti di profonda disciplina ed obbedienza del fascismo cremonese”.
La cerimonia proseguiva con la consegna dei vari doni che la rappresentanza cremonese aveva portato appresso per omaggiare il capo del fascismo italiano; quest’ultimo mostrava di gradire in particolare quelle iniziative volte a supportare la nuova esperienza che stava sorgendo a Sabaudia.
Nel frattempo la folla assiepata nella piazza iniziava a invocare il saluto del Duce; questi, ad un tratto, si mostrava al balcone e il silenzio totale calava sugli astanti. La “maschia voce” del Duce, come riportato dal resoconto dell’entusiasta cronista presente, nel salutare ed elogiare il popolo cremonese, il fascismo degli agricoltori, ricordava come Roma fosse stata grande finché si mantenne rurale. Nel congedarsi dalla piazza, da dove veniva richiamato due volte, Mussolini assicurava il suo ritorno a Cremona nel volgere di pochi mesi.