Tentato omicidio, i 3 indiani
non rispondono al giudice

Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere i tre indiani accusati di tentato omicidio – con l’aggravante della premeditazione – nei confronti di un connazionale, dopo il violentissimo agguato messo a segno nel parcheggio del Cremona Po dello scorso 23 novembre, quando avevano circondato il 25enne, colpendolo con spranga e martello, causandogli lesioni gravissime. Insieme a loro, che sono agli arresti domiciliari, altri due sono indagati a piede libero.
La scelta di non parlare davanti al giudice, come spiega l’avvocato difensore di due membri del gruppo, un arrestato e un indagato, dipende dal fatto che “vanno esaminate le varie versioni dei fatti e non c è una grande padronanza della lingua italiana. L intenzione comunque, non appena ci sarà più chiarezza dei fatti, è quella di mettersi a disposizione della Procura per chiarire, per un cliente la totale estraneità ai fatti e per l altro un ruolo notevolmente marginale e che non configura i gravi reati contestati”.
Reati che sono ben esplicati nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dalla procura, in cui viene ricostruita la vicenda con dovizia di particolari. Secondo gli investigatori, gli indagati avevano teso una vera e propria imboscata al giovane – e di qui la premeditazione, aspettandolo nel parcheggio del centro commerciale. Lo avevano quindi colpito “sia a mani nude sia impiegando un martello di 30 centimetri e una spranga di ferro di circa 70 centimetri”, accompagnando l’azione “con minacce di morte”.
In particolare, avevano pronunciato frasi come “Adesso gli spacchiamo la testa. Gli spacchiamo le gambe e le braccia. Colpisci la testa! Ammazzalo!” e “Questa volta ti abbiamo solo fatto a pezzi. La prossima volta ti ammazziamo!”.
La procura contesta anche l’aggravante della premeditazione “consistita nell’aver mantenuto fermo per mesi il proposito di recare danno alla persona offesa, peraltro pianificando l’azione punitiva nella forma di un agguato, dopo aver seguito i movimenti della vittima”.
Per il gip, ci sarebbe stata la volontà di uccidere, come si legge ancora nell’ordinanza: “È da osservare come le armi improprie utilizzate, le aree della vittima colpite (il capo) e la forza inferta con le armi rappresentano un complessivo quadro idoneo a supportare una volontà omicidiaria”.
Guardando al movente, si contestano anche i futili motivi: “Si contesta una sproporzionata reazione a un diverbio avuto mesi prima con la persona offesa e terminato con reciproci spintoni”. All’origine della ritorsione, vi sarebbe infatti un conto in sospeso per questioni lavorative scaturito tra uno degli aggressori e la vittima.
A dare l’allarme, intorno alle 14.15, era stato un testimone, che aveva notato un gruppo che rincorreva un giovane, colpendolo alla testa con un martello. Aveva quindi immediatamente allertato il 112. Un altro testimone, nel frattempo, era riuscito a prendere il numero di targa: questi gli elementi riferiti agli uomini della squadra volante e della squadra mobile della Questura, giunti sul posto poco dopo. La macchina era risultata intestata alla madre di uno degli aggressori. Grazie alle immagini della videosorveglianza, gli investigatori sono riusciti a ricostruire i movimenti del gruppo.
Laura Bosio