Cronaca

Smart working, "modello Growens"
per attrarre giovani risorse

Dal primo aprile, lo smart working nel settore privato è tornato ad essere regolato dal regime ordinario, essendo venute meno le semplificazioni che erano ancora previste per genitori con figli under 14 e i lavoratori fragili, derivanti dalle regole introdotte durante il periodo del Covid. In altri termini, verrà meno qualsiasi criterio di priorità nell’accesso al lavoro agile, il cui svolgimento potrà essere negato o concesso dal datore di lavoro in funzione delle proprie esigenze. Torna a essere centrale insomma l’accordo tra datore di lavoro e dipendente.

Ciò potrebbe essere un motivo per alcune aziende meno strutturate di evitarne il ricorso anche se, secondo quanto indicato nel report del Politecnico di Milano (Smart Working: gli impatti su organizzazioni e società) la maggior parte delle aziende prevede di mantenerlo e solo il 6% non sa se avrà un modello in futuro. Trend che riflette un cambiamento radicato nelle dinamiche lavorative.

NEL SETTORE DEI SERVIZI TECNOLOGICI SMART WORKING è ORMAI CONSOLIDATO
Per le aziende più innovative, poco o nulla cambierà perchè il lavoro agile è già diventato la normalità. Growens, multinazionale nel settore dei servizi digitali per l’impresa, conta 150 dipendenti ma nella sede principale al Crit di Cremona, su circa 90 postazioni di lavoro, in media sono 25 -30 quelle occupate fisicamente; nella sede di Milano ancora meno, 5 o 6;  negli Stati Uniti praticamente tutti lavorano da casa o in altri luoghi che non sono l’ufficio e il quartier generale di san Francisco viene utilizzato solo in casi sporadici.

Matteo Monfredini

E’ il presidente di Growens, Matteo Monfredini, a spiegare la dinamica in corso ormai da tempo. “Noi avevamo attuato il modello smart working per buona parte dei dipendenti in maniera sperimentale già da prima del 2020, parecchi di loro lavoravano in quello che era sostanzialmente il telelavoro. Poi il Covid ha accelerato tutto, siamo tutti andati in smart working per diversi mesi e questo ha fatto abituare anche le persone che erano un po’ più scettiche,  facendo capire quelli che potevano essere pregi e difetti. E’ così che il modello si è consolidato all’interno della mia azienda. Abbiamo anche un programma che si chiama WOW (way of working): una persona può decidere, per determinati periodi, di spostarsi in una paese o luogo diverso, organizzandosi con i propri team di riferimento per poter riuscire a lavorare al meglio”.

In questi casi dunque il lavoro agile fa parte degli accordi aziendali, ed è utilizzato anche come strumento attrattivo per lavoratori che è difficile reperire: “I giovani d’oggi sono molto attratti dalla qualità della vita e non solo dal nome o dal prestigio di un’azienda”, aggiunge l’imprenditore.

I GIOVANI CERCANO FLESSIBILITA’ NEL LAVORO
“Il mercato del lavoro sta cambiando, soprattutto in certi settori in cui è difficile trovare personale, diventa importante poter offrire posti in cui oltre allo smart working vi siano formazione, possibilità di avanzamento di carriera, orari di lavoro flessibile. Ci sono tante cose a cui i giovani guardano e non solo il lato economico o il fatto di lavorare per un nome famoso”. Lo smart working consente di lavorare per obiettivi, è superato il tempo in cui il lavoro viene misurato in base alle ore che si passano in ufficio, almeno per quei lavori dove non è necessario manovrare macchinari.

“Io credo che sia un modello esportabile in molti settori – aggiunge Monfredini -. Penso a quello dei servizi, che siano o non siano legati alla tecnologia.  L’importante è che l’azienda sia pronta e abbia a disposizione risorse manageriali capaci di gestire le risorse umane anche da remoto, perchè se da un lato lo smart working porta a un aumento della qualità della vita, bisogna però poi riuscire a creare delle occasioni per riportare la gente in ufficio, in determinati momenti, per non far venir meno le interazioni e la conoscenza reciproca”. gbiagi

 

 

 

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