Cronaca

Lavoratori sfruttati nei campi: in
due patteggiano, assolti gli altri

I lavoratori pakistani con gli avvocati Scalvi, Priori e Barbato, e i rappresentanti sindacali

Per l’accusa, da aprile del 2018 al marzo del 2022 avrebbero sfruttato sei lavoratori pakistani facendoli lavorare nei campi cremonesi fino a 12 ore, percependo dai 2 ai 3 euro all’ora. Con l’accusa di caporalato sono finiti davanti al gup quattro indiani: due datori di lavoro e due autisti che trasportavano i lavoratori nei campi.

In due, processati con il rito abbreviato, sono stati assolti “perchè il fatto non costituisce reato”, mentre gli altri due hanno patteggiato: uno due anni, l’altro un anno, dieci mesi e 20 giorni, entrambi pena sospesa, in continuazione con una precedente sentenza. Entrambi avevano già subito un processo definito con sentenza passata in giudicato con una condanna per i medesimi fatti svoltisi nello stesso periodo di tempo che  hanno dato origine a due procedimenti. I due hanno fornito un parziale risarcimento alle persone offese e hanno cambiato attività, scongiurando il rischio di reiterazione del reato.  

Da sinistra, gli avvocati Ferrari e Lattari

Gli imputati erano assistiti dagli avvocati Marcello Lattari e Francesco Ferrari. Dei sei lavoratori, quattro erano parte civile con gli avvocati Guido Priori e Davide Barbato, mentre gli altri due con il legale Federico Scalvi. Parte civile erano anche i sindacati Flai, Federazione lavoratori agro industria, nella persona del segretario generale Palvinder Singh (oggi per la Flai era presente Sonia Kaur) e la Camera del Lavoro territoriale della Cgil di Cremona con il segretario generale Elena Curci.

L’indagine, partita dalla denuncia di uno dei lavoratori, era stata portata avanti dai militari del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Cremona.

I pakistani non avevano permesso di soggiorno, o l’avevano, ma scaduto, e per l’accusa erano stati sottoposti a condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di necessità. Gli imputati avevano promesso di far ottenere loro il permesso di soggiorno mediante domanda di emersione dal lavoro irregolare subordinato, provvedendo alla loro formale assunzione e chiedendo a ciascuno il pagamento di 5.000 euro, accettando la dazione di un anticipo e provvedendo al trattenimento del denaro loro dovuto a titolo di retribuzione sino al raggiungimento del relativo saldo.

Una retribuzione di molto inferiore a quella prevista dai relativi contratti collettivi nazionali e territoriali che prevedono una paga oraria di 6,71 euro lordi, e comunque sproporzionata rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato.

“Ognuno di loro”, hanno spiegato gli avvocati di parte civile, “pagava tutti i giorni 5 euro per il trasporto, andava a lavorare, prendeva una busta paga di 700 euro, ma poi 400 li restituiva in contantiAi lavoratori erano stati poi richiesti 5.000 euro per il rinnovo del permesso di soggiorno. Alcuni avevano dato 1.000/1.500 euro, il resto veniva decurtato dalle buste paga. Praticamente venivano pagati come lavoratori part time, ma in realtà facevano il tempo pieno”.

La giornata lavorativa dei pakistani durava in media dalle 10 alle 12 ore, con partenza alle 5 della mattina e rientro alle 19, senza alcuna tutela in materia di sicurezza e igiene sul posto di lavoro, e con assenza di qualsiasi tipo di dispositivo di sicurezza ed attrezzature idonee. “Tra l’altro”, hanno detto i legali, “hanno continuato a lavorare per tutto il periodo del Covid senza alcun dispositivo di protezione”.

Per l’accusa, i lavoratori erano sottoposti a metodi di sorveglianza degradanti. Gli imputati che li accompagnavano avevano il compito di recuperarli la mattina, trasportarli con un furgone nei campi e provvedere alla loro continua e persistente sorveglianza.

La difesa, invece, ha sostenuto “l’assoluta liceità” del comportamento dei due imputati processati con l’abbreviato e oggi assolti. E comunque, figure marginali. “Uno dei due”, ha sottolineato l’avvocato Lattari, “era a propria volta un lavoratore che alcune delle persone offese sostenevano desse loro delle direttive sul luogo di lavoro. Ma hanno espressamente e ugualmente detto che lavorava insieme a loro, quindi un lavoratore con mansioni di caposquadra, il quale non ha avanzato doglianze sulla retribuzione, senza alcuna connotazione di costrizione, violenza o minaccia.

L’altro, il padre degli altri due coimputati, coloro che hanno patteggiato, a volte guidava il furgone con cui i lavoratori venivano accompagnati al lavoro. E talvolta si fermava sui luoghi di lavoro ad assistere alle opere in alcuni cantieri per qualche periodo, e dava indicazioni, ma anche qui senza connotazioni di violenza“. I legali della difesa hanno quindi sottolineato “l’assoluta estraneità dei loro assistiti al reato di sfruttamento del lavoro”.

Sara Pizzorni

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