Cronaca

Gruppo Facebook "Mia Moglie",
Aida: "E' un abuso e un reato"

La vicenda del gruppo Facebook denominato Mia Moglie, dove venivano pubblicate numerosi video e immagini di donne a loro insaputa, seguite da commenti volgari ed espliciti, ha suscitato e sta suscitando polemiche e reazioni discordanti. Ma soprattutto emerge la tendenza di molti a minimizzare un caso che rappresenta, invece, un volto della violenza che purtroppo ancora non tutti comprendono.

Elena Guerreschi

“Parlerei di un vero e proprio abuso” sottolinea Elena Guerreschi, avvocato penalista e presidente di Aida (Associazione donne anti-violenza) Cremona. “Non possiamo sapere quante persone abbiano pubblicato all’insaputa delle donne ritratte in quelle immagini e quante invece avessero avuto un consenso, però è evidente che la vicenda che si manifesta con questo gruppo rappresenta una vera e propria violenza, che è prevista dalla legge come reato”.

A preoccupare, soprattutto, è come questo gruppo sia solo la punta dell’iceberg. “Emerge che ci sono centinaia di altri gruppi, sia pubblici sia collocati in canali più riservati, come Telegram, dove vengono pubblicati, senza il consenso delle donne, foto, video e contenuti sessualmente espliciti” spiega ancora Guerreschi. “Non si tratta di pruderie: ognuno deve decidere della propria vita intima nella coppia come preferisce, anche nell’utilizzo di strumenti come quelli delle videoriprese e delle fotografie. Il problema vero è che molti ancora non hanno compreso come, alla base di qualsiasi attività, ci debba essere il consenso della persona“.

Dunque è un errore derubricare la vicenda ad una “goliardata”, o qualcosa di “poco grave” come molti stanno facendo, soprattutto sui social. “Ogni volta in cui un video o una fotografia vengono pubblicati o anche solo mostrati a qualcuno senza che vi sia il consenso della persona, stiamo parlando di una violenza che rappresenta un’ipotesi di reato e purtroppo con l’utilizzo dei social questo tipo di violenza sta diventando protagonista” continua la rappresentante di Aida. Insomma, si parla di un atto penalmente punibile, con reati che possono andare dalla diffamazione al Revenge porn.

E’ dunque fondamentale fermare questo fenomeno ormai dilagante, “non solo con la chiusura dei canali responsabili della diffusione, ma soprattutto attraverso la comprensione profonda che questo tipo di attività rappresentano un assoluto disvalore, nonché, appunto, un reato”.

La propensione alla minimizzazione, soprattutto da parte di uomini, è infatti specchio di una scarsa consapevolezza della gravità della situazione. “Lo scherno e le battute a sfondo sessuale nei confronti delle donne, sono una tendenza spesso comune nelle relazioni e interazioni sociali, nei contesti amicali e di gruppo e persino negli ambienti di lavoro” spiega ancora il legale. “È un tipo di comunicazione, di modalità di espressione e di interazione che non tiene conto del fatto che dall’altra parte il “bersaglio” di questi commenti possa sentirsi offeso e violato. E all’interno di un contesto social, dove c’è un accesso massiccio di persone, viene amplificato”.

Quello su cui è quindi necessario riflettere è come l’utilizzo delle parole possa essere o meno opportuno. “Si tratta di una forma di comunicazione che sottende una presunzione di potere” sottolinea Guerreschi. “Evidenzia come la donna venga ancora vista come un oggetto, che si può fotografare e pubblicare a sua insaputa, e per cui si chiede una valutazione al resto del pubblico. Nella fattispecie della vicenda, alcune delle immagini di donne erano corredate dalle loro misure, un po’ come se fossimo a una fiera del bestiame. E’ quindi è evidente come vi sia ancora un’errata percezione della donna, come fosse un oggetto sessuale ad uso del maschio”.

Laura Bosio

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