Cronaca

Giù dalla finestra della Rsa: "Non
fu suicidio, ma tentativo di fuga"

Tre a processo per omicidio colposo. Resta il giallo delle chiavi

La casa di riposo di Trigolo

Parola ai consulenti delle parti e agli imputati, nell’udienza del processo contro il direttore sanitario e due ausiliarie socio assistenziali della Rsa Milanesi e Frosi di Trigolo, accusati di omicidio colposo per la morte di un ospite della struttura che alla fine del mese di ottobre del 2021 era precipitato dalla finestra del bagno del Nucleo Alzheimer al secondo piano della casa di riposo. L’uomo, 70 anni, era ricoverato da un mese ed era morto in ospedale due mesi dopo la caduta.

La demenza è un fattore di rischio lieve di suicidio“, hanno spiegato gli esperti del pm. L’ipotesi più probabile è che il paziente cercasse una via di fuga per uscire dalla struttura. Il 70enne deambulava autonomamente. Era un ospite definito dal personale “problematico, solitario”. “Era spesso vicino alla porta”, aveva raccontato una dipendente della Rsa, “aveva tentato anche di aprirla, voleva andare a casa. Quando guardava dalla finestra chiedeva cosa c’era al di là del parcheggio”.

Resta il giallo delle chiavi. La porta del bagno assistito, e cioè la stanza utilizzata per fare il bagno agli ospiti, per riporre i carrelli della biancheria e materiale per i letti, era stata trovata chiusa, ma non a chiave. La chiave era riposta sulla mensola dove c’era l’insegna della guardiola. “La tenevamo lì”, è stato spiegato in aula. “Era leggermente nascosta ed era usata dai manutentori, dagli operai e dal personale delle pulizie che una volta finiti i lavori dovevano chiudere e riporre le chiavi”. I dipendenti della Rsa, invece, avevano il proprio mazzo.

Il bagno, l’unico ad avere una finestra non dotata di chiusura, era una delle stanze, insieme a quella di uscita dotata di codice, che avrebbe dovuto essere sempre chiusa. Appeso, infatti, c’era il cartello con l’avviso firmato dal direttore sanitario.

L’avvocato Abdoulaye Mbody

Poteva il paziente, si è dibattuto in aula, aver preso le chiavi, aperto la porta del bagno e aver riportato le chiavi al suo posto prima di precipitare dalla finestra?. No, secondo i consulenti della difesa. “Un comportamento così organizzato non è compatibile con un paziente affetto da demenza. Qui si è trattato di un impulso di fuga nato dal profondo, un istinto intimo”. Un’ipotesi scartata anche dai consulenti della procura, che tuttavia non hanno respinto del tutto la possibilità che il paziente fosse in grado di prendere le chiavi, di aprire la porta e di chiuderla alle sue spalle. Oppure quella porta era stata lasciata aperta… Ma da chi?. E chi ha visto le chiavi lasciate nella serratura, per poi toglierle e riporle sulla mensola senza chiudere a chiave?. All’epoca non c’erano telecamere. Oggi, invece, la struttura ne è dotata.

Quella mattina, come già avevano raccontato i testimoni presenti nella Rsa, e come hanno ripetuto anche oggi le due imputate, il paziente non si riusciva a trovare. “Lo abbiamo cercato dappertutto. Nelle stanze, nella sala da pranzo, dove poco prima stava mangiando, nel reparto a piano terra e anche all’esterno”. A trovarlo era stata una delle ausiliarie. “Sono andata verso il parcheggio e uscendo ho guardato verso la camera mortuaria. Poi l’ho visto. Era a terra, in corrispondenza del bagno. D’istinto ho guardato in alto e ho visto la zanzariera della finestra rotta“.

L’avvocato Fausto Teti

“Quando sono salita”, ha raccontato oggi una delle imputate, “la porta era chiusa, ma non a chiave, e la chiave era al suo posto sulla mensola“. “Quella porta era sempre chiusa“, ha ricordato l’altra dipendente finita sotto accusa, presente quella mattina nel Nucleo Alzheimer ma che prestava servizio in un altro blocco della struttura. La donna era entrata nel bagno poco prima della tragedia. “Sono sicurissima di aver chiuso a chiave“, ha ricordato.

Oggi si è difeso anche il direttore sanitario che ha ricordato che il paziente, soprattutto dopo aver ricevuto la visita della figlia, il 14 ottobre, aveva cominciato a chiedere di tornare a casa, “anche se non in modo insistente. Stava nella zona della porta e aveva tentato di digitare il codice per uscire”. “Per questo motivo”, ha spiegato l’imputato, “era stato aumentato il livello di sorveglianza dell’ospite. “Ho fatto cambiare il codice alla porta e vietato che uscisse anche a fare una passeggiata. La finestra del bagno assistito era l’unica a non avere la serratura. Ora, invece, è dotata di inferriate”.

Nel processo, i tre imputati sono assistiti dagli avvocati Abdoulaye Mbody e Fausto Teti.

Si torna in aula per gli ultimi testimoni il primo di ottobre. Le conclusioni, invece, sono previste per il 15.

Sara Pizzorni

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