Cronaca

Biologa tunisina contro il marito
"Ripudiata, ma mi sono salvata"

Lei, Sara (nome di fantasia),  26 anni, è una giovane tunisina laureata nel suo paese in biologia molecolare e cellulare. Per amore, il 3 agosto del 2021 si era sposata con Omar (nome di fantasia), cugino di 32 anni che lavorava in Italia. Il 29 ottobre del 2022 lei, dopo  aver vissuto dai suoceri, lo aveva raggiunto e la coppia era andata ad abitare a casa del fratello di lui che viveva con la moglie e il loro bimbo.

I problemi che la coppia già aveva in Tunisia per via dei cattivi rapporti tra Sara e la famiglia di Omar, soprattutto con la suocera, non si erano risolti nemmeno in Italia. Problemi che hanno portato il 32enne a finire a processo con l’accusa di maltrattamenti. “Ero sempre in casa”, ha raccontato oggi Sara, che contro ormai l’ex marito si è costituita parte civile attraverso l’avvocato Romana Perin, del Foro di Varese.

Facevo la casalinga per la famiglia“, ha spiegato la giovane, che usciva solo per fare la spesa e per frequentare un corso di italiano. “Ma non potevo avere amicizie. Mi hanno anche tolto il telefono, che mi davano ogni tanto solo per chiamare mia cognata che era spesso in ospedale per problemi di salute”. Secondo la testimonianza della 26enne, il marito, durante i litigi, la insultava e la minacciava. “Schifosa, sei un’asina, non capisci niente”, le avrebbe detto. “Qui in Italia non puoi vivere”. “Urlava, mi ha anche sputato addosso“, ha detto la giovane tunisina, che chiedeva inutilmente al marito di avere una maggiore libertà. “Tranne uno spintone, però, non ci sono mai state violenze fisiche”. “Mio cognato era d’accordo con mio marito“, ha risposto la ragazza ad una domanda del giudice. “Mia cognata vedeva che mio marito mi maltrattava, ma faceva finta di niente“.

Due anni dopo il loro matrimonio, l’imputato la voleva ripudiare. Lo zio di lei, che aveva sposato la sorella di suo marito, aveva divorziato, e in famiglia, soprattutto la madre dell’imputato, lo avrebbero influenzato affinchè anche il 32enne lasciasse la moglie. E così era stato.

Un giorno lui le aveva comprato un biglietto aereo per tornare in Tunisia. Alle 4 del mattino le aveva restituito il telefono e l’aveva lasciata alla stazione di Milano Bovisa per farle prendere il treno per raggiungere l’aeroporto di Malpensa. Ma una volta lì, da sola, la ragazza non si era imbarcata. Se fosse tornata a casa, sarebbe stata allontanata sia dalla propria famiglia che da quella di lui, con il pensiero che andava alla prima moglie del fratello di suo marito: ripudiata, tornata in Tunisia e presa a botte.

La giovane, seppur con scarsissima conoscenza dell’Italiano, si era rivolta alla polizia della Malpensa a cui aveva raccontato la sua storia. “Ho chiamato la mia famiglia che non sentivo da tre mesi”, ha raccontato la giovane, che aveva trovato ospitalità a casa di una parente in provincia di Varese. “Non mangiava, era terrorizzata dalla famiglia di lui“, ha riferito in aula la parente. Poi Sara sveva contattato Donnasicura, l’associazione che aiuta le donne vittime di violenza, ed era stata collocata in una casa rifugio e ha potuto rifarsi una vita.

Il 18 dicembre l’imputato si difenderà.

Sara Pizzorni

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